Da Hiroshima a Fukushima

Jonathan Schell

Gli eventi orribili e strazianti che hanno luogo in Giappone presentano una strana concatenazione di diversi disastri. Anzitutto, il pianeta ha scatenato uno dei suoi colpi primordiali, un terremoto di intensità superiore a quella di ogni altro registrato fino a oggi in Giappone. Il terremoto, a sua volta, ha causato lo tsunami colossale che, quando ha colpito le coste nordorientali del paese, ha polverizzato ogni cosa sul suo cammino, dando forma a un’ondata lurida composta di fango, automobili, edifici, case, aeroplani e altri rottami di ogni specie. In parte perché il terremoto aveva spianato il livello del paese di circa sessanta centimetri, l’ondata poté rotolare fino alla distanza di una decina di kilometri all’interno, uccidendo migliaia di persone. In una dimostrazione stupefacente della sua potenza, come ha riferito il «New York Times», il terremoto ha spostato sia parti del Giappone, di quattro metri verso Est, sia leggermente l’asse della Terra abbreviando di fatto la durata del giorno, anche se soltanto in misura infinitesima (1,8 millesimi di secondo).

Ma questo non è stato tutto. Un altro colpo gli ha fatto subito seguito. Soccombendo al duplice colpo successivo del terremoto e dello tsunami, undici dei 54 reattori nucleari sono stati chiusi dal sisma. Al momento in cui scrivo tre di essi hanno perso liquidi di raffreddamento dei loro noccioli interni e hanno subìto fusioni parziali. Gli stessi tre reattori sono stati oggetto di vaste esplosioni. Il combustibile esaurito di un quarto reattore ha preso fuoco. Ora una seconda ondata sporca ha cominciato a dilagare; essa è composta da elementi radioattivi presenti nell’atmosfera che includono quantità ignote di cesio-137 e di iodio-131 che, a loro volta, possono essersi formati soltanto nei noccioli in fusione o nelle piscine d’acqua dove vengono depositate le barre di combustibile esaurito. Entrambi gli elementi sono pericolosi per la salute dell’uomo. Il governo giapponese ha evacuato circa duecentomila persone residenti nei pressi degli impianti e ha distribuito pillole di iodato di potassio, che prevengono l’insorgere di ioduro radioattivo. La portaerei americana USA Ronald Reagan è stata costretta a cambiare il suo corso quando è stata raggiunta da una nube radioattiva.

Il secondo colpo è stato, naturalmente, diverso dal primo almeno in un aspetto fondamentale. Il primo era stato inflitto da Madre Natura, che ci ha rivelato, in tal modo, il suo potere sovrano di nutrire e di punire il nostro delicato pianeta, facendo ruotare l’asse terrestre, anche se in misura estremamente lieve, in una direzione diversa dalla precedente. Nessuno può essere ritenuto responsabile in questo caso. Il secondo colpo, invece, è il prodotto del genere umano che ne è quindi responsabile. Finché la specie umana non si intromise, non si è verificato mai nessun rilascio apprezzabile di energia atomica che fosse dovuto a fissione o fusione nucleare prodotta artificialmente sulla superficie del globo. Sono state necessarie mani umane per introdurre questo effetto nel bel mezzo degli affari terrestri. Ciò è avvenuto sessantasei anni fa, e cioè in Giappone, quando gli Stati Uniti lanciarono le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. A quell’epoca, Harry Truman usò un linguaggio su cui vale la pena di meditare oggi. «È una bomba atomica», disse il Presidente degli Stati Uniti «È l’utilizzo della forza fondamentale dell’universo. La forza da cui il Sole trae il suo potere è stata scatenata contro coloro che hanno portato la guerra nell’Estremo Oriente». Il primo ministro giapponese in carica oggi, Naoto Kan, ha fatto riferimento, implicitamente, ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki quando ha dichiarato che la crisi attuale è stata la peggiore che si sia abbattuta sul Giappone «dalla seconda guerra mondiale».

Per alcuni anni dopo quell’evento, l’energia atomica è stata considerata principalmente come una forza inconcepibilmente maligna, come una sorta di equivalente prodotto dall’uomo, di fenomeni come i terremoti o ancora peggiori di essi. Negli anni 1950, tuttavia, quando furono costruiti i primi impianti per la produzione di energia nucleare, si cominciò a cercare di trovare un lato positivo per l’atomo come fonte di energia. Nel 1956 Walt Disney fece addirittura un cartone animato dal titolo L’atomo nostro amico. Un punto di svolta decisivo è stato la proposta di Atomi per la pace fatta dal Presidente Dwight Eisenhower nel 1953, mediante la quale si chiedeva che le nazioni munite di armi nucleari vendessero la tecnologia per la produzione di energia nucleare ad altre nazioni in cambio del loro impegno a seguire certe regole di non-proliferazione. Questo scambio di favori reciproci è ora sancito nel Trattato di Nonproliferazione Nucleare, che promuove lo sviluppo dell’energia nucleare mentre scoraggia la produzione di armi nucleari.

Come Ira Chernus ha raccontato nel suo libro Eisenhower’s Atoms for Peace, la proposta è scaturita, paradossalmente, dall’avversione di Eisenhower per qualsiasi forma di controllo degli armamenti. Egli aveva lanciato un programma di sviluppo nucleare che avrebbe accresciuto l’arsenale atomico degli Stati Uniti da 1436 testate nucleari presenti all’inizio dei suoi due mandati presidenziali, alle 20.464 alla fine della sua presidenza. La sua politica nucleare di sicurezza era quella della «rappresaglia massiccia», che faceva affidamento sulla minaccia dell’impiego di armi nucleari più di quanto non lo avesse fatto, in precedenza, la politica di Truman. Il controllo degli armamenti avrebbe intralciato quella linea o direttiva politica. Eppure Eisenhower aveva bisogno di qualche proposta che temperasse la sua crescente reputazione di falco nucleare privo di scrupoli. La proposta di Atomi per la pace veniva incontro a questa necessità. La soluzione da dare al problema rappresentato dal pericolo nucleare, egli disse, era quella di «togliere quest’arma dalle mani dei soldati» e di metterla, invece, «nelle mani di coloro che avrebbero saputo come eliminare il suo involucro militare e adattarla alle arti della pace» – principalmente, quelli che se ne sarebbero serviti per costruire impianti per la produzione di energia nucleare. Naturalmente, l’arma non fu mai sottratta dalle mani dei soldati, ma la forza fondamentale dell’universo era trasferita, in questo modo, agli esperti dell’energia nucleare, compresi gli ingegneri giapponesi.

La lunga, sorvegliatissima carriera dell’energia nucleare cominciò così. La promessa, a tutta prima, poteva sembrare grande, ma i problemi si accumularono immediatamente. La distinzione fra l’atomo sorridente e amichevole di Disney e quello aggrottato e ostile dei suoi avversari continuò ad approfondirsi. In primo luogo, la tecnologia dell’energia nucleare mostrava di essere una porta aperta per la diffusione di una tecnologia che serviva anche alla proliferazione di armi nucleari. In secondo luogo l’esigenza di seppellire i rifiuti nucleari per le decine di migliaia di anni che sarebbero necessari perché i loro elementi radioattivi decadano a livelli ritenuti sicuri si faceva beffe della scarsa abilità e costanza di una specie la cui intera storia documentata ammonta solo a circa 6000 anni. Infine, la tecnologia stessa dell’energia nucleare ha continuato a fallire a più riprese e a produrre o minacciare disastri, come accade ora in Giappone.

La catena degli eventi dei reattori che sfuggono attualmente al controllo fornisce una storia documentata della sproporzione soggiacente fra la natura umana e le forze che ci immaginiamo di poter maneggiare. L’energia nucleare è una tecnologia complessa e di alto livello. Ma le cose che endemicamente mostrano di non funzionare sono di natura molto umile. L’arte dell’energia nucleare è quella di far bollire dell’acqua al calore incredibile generato da una reazione nucleare a catena. Ma queste temperature richiedono un raffreddamento continuo mediante un sistema di pompe che, a loro volta, funzionano con una fonte di energia convenzionale. Sono queste le cose che, in generale, vanno a finir male, e sono andate a finir male in Giappone. Un generatore di riserva si arresta all’improvviso. Una batteria si esaurisce. La pompa rallenta fino a fermarsi del tutto. Si potrebbe supporre che sia facile pompare dell’acqua in un grande contenitore, e ciò è generalmente vero; ma anche i piani meglio organizzati vanno di tanto in tanto di traverso. Qualche volta il problema è rappresentato dallo tsunami, altre volte da un operatore che si è addormentato davanti all’interruttore. Queste manchevolezze prevedibili o imprevedibili possono verificarsi a ogni stadio delle operazioni in corso. Per esempio, in Giappone l’industria dell’energia nucleare ha fatto registrare un gran numero di casi in cui i suoi impianti sono stati presentati come se fossero degli innocui giardini botanici, mentre invece venivano aggirati i regolamenti di sicurezza, nascondendo le violazioni di cui sono stati oggetto e molti altri problemi. Ma quale grande organizzazione burocratica non si comporta in questo modo? E se queste cose accadono in Giappone, si può pensare che non si possano verificare anche in tutti gli altri paesi del mondo? Quando la burocrazia ha semplicemente a che fare con le infrazioni dei parcheggi o con la gestione della nettezza urbana, errori di carattere ordinario danno luogo a incidenti di carattere ugualmente ordinario. Ma quando è in gioco la forza fondamentale dell’universo, quegli errori favoriscono il verificarsi di una catastrofe.

Il problema non è che ci sia bisogno di un altro generatore di riserva, o che le regole di sicurezza non siano abbastanza rigide, o che il deposito delle scorie nucleari si trovi in un luogo geologicamente inadatto, o che i controlli sulla proliferazione siano troppo permissivi. Il problema di fondo, invece, è che una creatura soggetta a incespicare di continuo, una creatura imperfetta e probabilmente imperfettibile come la nostra è inadatta a maneggiare il fuoco stellare rilasciato dalla fissione o dalla fusione dell’atomo. Quando la natura colpisce già per suo conto, perché l’umanità dovrebbe moltiplicare ulteriormente i guai? La Terra è provvista a sufficienza di forze primordiali di distruzione senza che noi l’aiutiamo a introdurne ancora di più. Dovremmo lasciare queste ultime a Madre Natura.

Alcuni hanno suggerito che, alla luce dei nuovi sviluppi, dovremmo abbandonare del tutto l’energia nucleare. Io avanzo una proposta diversa, forse più in armonia con la natura peculiare del pericolo. Facciamo una pausa e studiamo attentamente la materia. Per quanto tempo ancora? Il plutonio, che è una componente delle scorie nucleari, ha un tempo di dimezzamento di 24.000 anni, intendendo con ciò che dopo tale periodo la metà di esso si è trasformata in altri elementi attraverso il decadimento radioattivo. Questo dato suggerisce una scala temporale. Non saremo precipitosi se studieremo la questione solo per una metà di quel tempo di dimezzamento, e cioè per 12.000 anni. Nell’intervallo potremo condurre ricerche per scoprire nuove fonti sicure di energia, insieme ad altri utili tentativi. Allora forse saremo abbastanza saggi da poter fare buon uso della scissione dell’atomo.


15 marzo 2011

Traduzione di Renato Solmi per il Centro Studi Sereno Regis

Titolo originale: From Hiroshima to Fukushima

http://www.thenation.com/article/159301/hiroshima-fukushima

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