Norberto Bobbio: non religione, ma religiosità

Enrico Peyretti

Norberto Bobbio è un testimone della spiritualità laica: non negatrice di ciò che ci trascende, ma agnostica, perplessa. Non indifferente né insensibile al mistero che ci avvolge, ma impegnato a pensarlo con una ragione umile e seria: un «lumicino», l’unico che abbiamo. Bobbio non era “persuaso” della nonviolenza, ma sicuramente attento e consapevole della decisiva importanza di questa ricerca per la sopravvivenza del mondo attuale.

Negli ultimi anni, Bobbio ha scritto cose esplicite e interessanti sulla sua «religiosità, non religione» (fino al suo testamento morale, in cui accenna tuttavia alla «religione dei padri»1). Egfli scrive: «Come uomo di ragione e non di fede, so di essere immerso nel mistero che la ragione non riesce a penetrare fino in fondo, e le varie religioni interpretano in vari modi. Alla morte si addice il raccoglimento, la commozione intima di coloro che sono più vicini, il silenzio».

Egli sente le grandi domande di senso, specialmente il pesante interrogativo sul male. Egli non abbandona mai quelle domande, anche se inclina alla riposta negativa che in qualche momento gli esce: non c’è alcun senso! Ma ha stima e interesse per le persone seriamente religiose, e specialmente per chi vede mettere in pratica, nell’aiuto concreto al prossimo, l’amore cristiano (mi disse di avere tenuto corrispondenza con alcuni missionari).

Ammira l’essenziale della morale cristiana, che è amore pratico e giustizia verso il prossimo. Quando la confronta con la morale laica, ne valuta, da filosofo del diritto, soprattutto l’efficacia, perché pensa che, in essa, il giudizio e la sanzione divina sono ritenuti infallibili.2 Riconosce lui stesso che la sua conoscenza del cristianesimo è piuttosto elementare, non è pari alla sua cultura generale; egli dice che è rimasta allo stadio della sua lontana educazione infantile. Perciò non considera che, per il cristiano, Dio, ben prima e più che giudice delle nostre azioni, è Spirito vivo e intimo, ispiratore di vita buona. Il rapporto non è giuridico ma vitale.

Ho sempre sentito Bobbio parlare di Cristo con grande rispetto, pur senza la speranza che egli abbia dato all’umanità la possibilità, la grazia, la forza salvifica di un cammino nuovo nella vita giusta e buona. Il famoso pessimismo di Bobbio è anche, in profondità, il suo dolore e scandalo per il male cosmico. Egli disse più volte che ci turba non tanto il male che è colpa di Caino, di cui si vede l’origine, ma il male patito da Giobbe innocente, la cui causa ci sfugge, oppure ricade sulla responsabilità di Dio e sul senso della realtà.

Con queste categorie bibliche essenziali, pur senza una cultura biblica sviluppata, Bobbio esprimeva la sua visione sofferta della realtà. Forse nel poema biblico di Qohelet, specialmente in età avanzata, Bobbio avrebbe trovato un’alta espressione classica del suo sentimento. A questo proposito, egli espresse l’opinione che nelle scuole i giovani dovrebbero conoscere la Bibbia come studiano i poemi di Omero, per vedere tutte le basi della nostra cultura.

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Non ho difficoltà a dire che, nonostante la differente cultura e visione della vita, ma grazie ad una affinità di senso morale, nella mia lunga relazione con lui, l’ho sentito e mi resta oggi come una delle figure autorevoli e paterne della mia vita, sebbene io fossi in età già matura. Ciò significa, mi sembra, almeno due cose.

La prima è che il valore vitale di una persona, e quindi della relazione con essa, non dipende totalmente dall’accordo intellettuale, ma da fattori morali (anche psicologici, certo). È proprio vero ciò che Bobbio ripeteva da vecchio, e cioè che, con l’età, «valgono più gli affetti che i concetti».

La seconda cosa è quella verità a cui egli arrivò, riguardo all’avere o non avere fede religiosa, detta con parole poi riprese e condivise dal cardinale Carlo Maria Martini: «La differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza».

Io accosterei a questo suo detto quello di Mario Cuminetti (1934-1995, libraio a Milano e scrittore dal pensiero profondo): «La discriminante essenziale che divide gli uomini è quella che passa fra chi, nonostante tutto, crede alla loro dignità, si impegna per gli oppressi, lotta per dar voce e spazio alle speranze più profonde e vere di ogni uomo e chi, invece, non crede sia più possibile questa trasformazione e si consegna, arrendendosi, a quelle forze che tendono, per il loro dominio, a ignorare le diverse situazioni ed esigenze degli uomini. Inutile nascondersi che per il primo caso siamo di fronte a una ‘fede’ che accomuna credenti e non credenti in Dio»3.

Anche la distinzione tra destra e sinistra, oggetto continuo della riflessione di filosofia politica Bobbio, risale per lui a motivi essenzialmente umani e morali, più che di interessi e di potere.

Egli infatti diceva: «La differenza [fra sinistra e destra] è fra chi prova un senso di sofferenza di fronte alle disuguaglianze e chi invece non lo prova e ritiene, in sostanza, che al contrario esse producano benessere e quindi debbano essere sostenute. In questa contrapposizione vedo il nucleo fondamentale di ciò che è sinistra e di ciò che è destra» 4. Giustizia, democrazia, diritti umani, eguaglianza: sono questi per Bobbio gli elementi e i valori per la pace possibile, difficile ma possibile.

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Insomma, dal rapporto che ho avuto con Norberto Bobbio, come allievo con un maestro, io imparo che si possono dare risposte diverse alle stesse serie domande; e possono essere le domande più delle risposte che uniscono umanamente e intellettualmente. Ciò dimostra che si possono avere idee diverse, e discutere, e tuttavia stimarsi e volersi bene.

Infatti, proprio di questo si tratta: molti suoi allievi non hanno solo imparato da Bobbio, ma gli hanno voluto bene. Io lo affermo per parte mia. Credo che questo fatto sia – e lo è certamente per me – un piccolo esempio reale di come è possibile e fecondo non solo il rispetto e l’ascolto tra persone di visioni e culture diverse entro una stessa società e storia, ma anche, nei modi proporzionati, fra le culture e le civiltà umane, oggi a rischio di conflitto distruttivo, eppure poste davanti alla nuova grande opportunità di unificazione dell’umanità nel rispetto delle preziose differenze.


Torino, 6 febbraio 2011. Una testimonianza per la Giornata Mondiale delle religioni, Torino 6 febbraio 2011, dall’introduzione ad un libro in preparazione “Dialoghi con Norberto Bobbio”.


Note

1 Mi pare che questo testamento non sia stato pubblicato integralmente. È citato in La Repubblica, 10 gennaio 2004, nella cronaca del funerale di Bobbio, questo brano: «Credo di non essermi mai allontanato dalla religione dei padri, ma dalla Chiesa sì. Me ne sono allontanato ormai da troppo tempo per tornarvi di soppiatto all’ultima ora. Non mi considero né ateo né agnostico. Come uomo di ragione e non di fede, so di essere immerso nel mistero che la ragione non riesce a penetrare fino in fondo, e le varie religioni interpretano in vari modi. Alla morte si addice il raccoglimento, la commozione intima di coloro che sono più vicini, il silenzio. Breve cerimonia in casa, o, se sarà il caso, in ospedale. Nessun discorso. Non c’è nulla di più retorico e fastidioso dei discorsi funebri».

2 Norberto Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, Pratiche editrice, 1998, pp. 177-180, riedito da Il Saggiatore.

3 Mario Cuminetti, Consentire al silenzio e ascoltare l’assenza, in Linea d’ombra, n. 60, 1991.

4 Norberto Bobbio, in N. Bobbio, G. Bosetti, G. Vattimo, La sinistra nell’era del karaoke, I libri di Reset, Donzelli 1994, p. 51.

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