La storia mondiale che si dispiega

Johan Galtung

Sta accadendo, proprio lì, sotto i nostri occhi. Il modello, prodotto principalmente dell’alleanza USA-Israele (ispirato a Isaiah 2:1-5), si va disfacendo. Esso è sempre lo stesso: consiste nel creare, con la forza o la corruzione o entrambe, “governi amici”, “alleati nel processo di pace” come dice l’esperto di politica estera di Obama, il vice-presidente Joe Biden. Avviene in queste ore, in questi giorni; con alcuni processi in corso.

Il modello comprende cinque diversi livelli: i palestinesi entro Israele; i palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza; i vicini arabi d’Israele (Libano, Siria, Giordania, Egitto); il resto dei 22 stati arabi; il resto dei 57 stati musulmani. Sapendo che 350 milioni di arabi e 1.560 milioni di musulmani non possono essere controllati direttamente, si procede con un controllo indiretto tramite i governi. Si fa qualunque cosa tranne impegni seri per risolvere i conflitti, riferendosi enfaticamente a questa politica di basso profilo come a un “processo di pace”. Un progetto senza prospettive, al più un effimero instabile equilibrio.

Esso si svolge senza un punto preciso di origine nello spazio e nel tempo; è piuttosto un processo di “pace pezzo per pezzo”, ostacolato fin dall’inizio. I palestinesi entro Israele sono da tempo ambigui, in parte indotti con “concessioni” ad accettare una cittadinanza di seconda classe entro uno stato teocratico. I palestinesi al di fuori sono stati divisi: importanti spartiacque sono OLP/Hamas e Cisgiordania/Gaza. Dopo le rivelazioni di WikiLeaks su The Guardian del 24 gennaio scorso riguardo alla corruzione morale dei negoziatori OLP, Hamas è più forte che mai, con una base in Siria mai salita sul Titanic USA-Israele. Il Libano è sempre più governato da Hezbollah; in Giordania, dove la CIA ha osteggiato con varie manovre il principe Hassan, orientato alla pace, a favore di Abdullah, c’è rivolta. In Egitto ancor più, Yemen e Somalia si sono rivoltati molto tempo fa; e accade qualcosa in Marocco, Algeria, Sudan, Mauritania. E dietro e al di sopra c’è una presenza della Turchia (neo-ottomana?).

Ovviamente, sono all’opera almeno due altre problematiche, non solo le macchinazioni dell’alleanza USA-Israele. C’è il tema della democrazia multi-partitica con elezioni libere e giuste rispetto alla dittatura di un partito, o l’autocrazia di un governante; e quello dei diritti umani rispetto alla brutale repressione delle libertà. E c’è la questione economica che vede aumentare miseria, disoccupazione e disuguaglianza invece che condivisione. I nessi fra le tre problematiche vengono spesso evidenziati dai dimostranti sui loro manifesti contro le dittature e lo sfruttamento sostenuti dagli USA, denunciando le cricche autocratiche e le case reali che si arricchiscono, ecc. Quale delle tre è la più importante? Tutte e tre, naturalmente; è un solido nesso USA-Occidente-Israele, con alcuni punti cruciali. Uno dei quali è l’istituzione da parte di Londra di una “patria” ebraica – non definita nel diritto internazionale – in Palestina, dividendola in due, con la Giordania nel ruolo di stato cuscinetto per proteggere il petrolio dell’ Iraq del “mandato” e lo stesso Churchill che fa usare il gas contro i “barbari” irakeni che minacciavano la civiltà lottando per una loro patria – tutti temi ben noti. Fino a uno stato di Israele dichiaratosi più timoroso di una pace che poteva porre limiti alla propria espansione sionista che della guerra utile per l’espansione.

Fintanto che la storia ripropone questi temi, in queste settimane, in questi giorni.

Quale dei tre fattori evocati venga scelto dai dimostranti, dai rivoltosi, per tessere la loro retorica varierà, come per la distanza da Israele. Altra variabile è la longevità dell’autocrazia, 20, 30 anni. Un’altra ancora è la mera tattica, come farsi più alleati, denunciando gli USA o lasciando cadere la questione? Qualche commentatore USA sta celebrando l’assenza, in alcune rivolte, di slogan del tipo “abbasso l’imperialismo USA”, che si focalizzano invece sulla democrazia e i diritti umani, forse programmando come manipolare le elezioni e corrompere con bigliettoni freschi di stampa da Fort Knox. Si prometteranno investimenti, che si sa avvantaggeranno i ricchi più che i poveri.  Presto si farà viva la Cina.

Ma per il momento festeggiamo. Le rivolte per lo più nonviolente in quasi tutto il Maghreb e il Mashreq rivelano la fragilità anche delle superpotenze globali e regionali. Esse si trovano ora di fronte a momenti di verità ispirati e innescati a livello di massa dalle verità svelate da WikiLeaks. I commentatori USA, con un talento infallibile nella scelta di livelli erronei d’analisi, indicano che i dimostranti sono per lo più giovani, istruiti e disoccupati. Dare loro una borsa di studio e un lavoro? Hanno forse bisogno di una certa agilità per saltare su un blindato dotato di idranti, di una certa istruzione per vedere attraverso la fitta propaganda, e di essere disoccupati per aver tempo per l’azione politica in strada senza timore di perdere il posto? Impedito a esprimersi in libere elezioni, il demos, il popolo, saprà forse trovare i modi di riottenere un potere?

Ricordo un incontro al Cairo il 18 dicembre scorso con i professori dell’università locale sulle tendenze mondiali, comprese quelle in e attorno a Israele e USA, e sulla crescente diseguaglianza, che lasciava prevedere rivolte.  Dicevano: i nostri poveri diventano più poveri di ora in ora, ma la polizia e i militari rendono impossibili le rivolte. Risposi che dovevano unirsi perché anch’essi erano repressi, sfruttati e alienati. Ed è proprio quello che sembra essere accaduto – e non solo in Egitto – dopo la brutalità iniziale. Uno shock per i poteri-che-furono, che adesso mettono insieme il loro oro per una vita da oasi in Arabia Saudita. Toccherà presto anche a lei.

E gli USA? E Israele? Un generale israeliano ha recentemente rivelato piani d’attacco contro Hamas e Hezbollah a Gaza e in Libano. Ma servono molti altri programmi. Attaccare un Egitto guidato dai Fratelli Musulmani? Forse troppo anche per Israele e gli USA, dato che entrambi questi paesi egemoni hanno gravissimi problemi politici ed economici.

Oppure, potrebbe succedere che quest’ondata di persone che pretendono di recuperare la politica estera, la politica interna e l’economia dalle mani viscide di piccoli gruppi giunga a –miracolo dei miracoli – colpire gli egemoni stessi? E dischiudere un reale processo di pace, che coinvolga tutti gli interessati?  Inshallah.


New York 31.01.11 – TRANSCEND Media Service

Titolo originale: World History Unfolding

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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