Persuasi, dubbiosi, scettici e oppositori della nonviolenza

Nanni Salio

Se la nonviolenza “è antica come le colline”, come ci ricordava Gandhi, anche le controversie pro o contro di essa lo sono altrettanto e l’avvicinarsi della giornata internazionale della nonviolenza, il prossimo 2 ottobre, lo conferma.

Tra gli oppositori, spicca, in questi giorni, il proclama del ministro della difesa Ignazio La Russa che, d’accordo con la ministra dell’istruzione, ha lanciato l’idea di “lezioni di guerra per gli studenti”, a quanto pare rientrata dopo le numerose proteste. Forse era sfuggita a entrambi i ministri l’imminente ricorrenza promossa dalle Nazioni Unite, nonché la conclusione del “Decennio dell’educazione alla nonviolenza per i bambini e le bambine del mondo”! Per una ironica ma secca riflessione, si veda l’articolo di Francesco Merlo, “E il fucile entrò a scuola. Lezioni di guerra agli studenti” (La Repubblica, 24 settembre 2010).

Tra gli scettici, possiamo citare Raniero La Valle (“Il valore insuperabile della persona”, nel supplemento Coi piedi per terra n. 366 del 26 settembre 2010) che ha riproposto una concezione riduttiva di nonviolenza, con argomenti simili a quelli che discussi con lui tempo fa e ai quali evidentemente non fui in grado di replicare in modo persuasivo (Convegno “Potere e pace”, 11-12 dicembre 2004, Sulmona).

Anche Domenico Losurdo può essere incluso in questa categoria, come si può dedurre dal suo libro La nonviolenza. Una storia fuori dal mito (Laterza, Roma-Bari 2010) recensito in questi giorni su Il Manifesto del 25 settembre 2010. Il “mito” di cui parla Losurdo, soprattutto a proposito della figura di Gandhi, consisterebbe nel fatto che egli non fu un “pacifista assoluto”. In realtà questo è un fatto ben noto, da tempo, e molto meglio analizzato nell’immensa letteratura su Gandhi da autori, tra gli altri, come Giuliano Pontara o Johan Galtung, entrambi totalmente ignorati nell’analisi di Losurdo, oltre che nelle tesi sostenute da La Valle.

È noto che Norberto Bobbio si autodefinì dubbioso o perplesso della nonviolenza, a differenza per esempio di Aldo Capitini, che era un persuaso (a tale proposito rimando all’intervento di Enrico Peyretti).

Anche Bobbio, pur conoscendo i lavori di Pontara e Galtung, non li esaminò mai con sufficiente ampiezza e profondità, lasciando incompleto il suo peraltro apprezzabile lavoro su Il problema della guerra e le vie della pace (ripubblicato in edizioni successive da Il Mulino, Bologna, quarta edizione 1997).

Per descrivere i “persuasi” della nonviolenza potrebbe essere utile tracciare una “mappa”. Si immagini su un asse orizzontale di indicare sui lati opposti le due posizioni rispettive di “religione” e “politica” e su uno verticale quelle di un approccio “individuale” oppure “collettivo”. Riempire i quattro quadranti che ne derivano con esempi tratti dalla storia mondiale può essere un utile esercizio, sia per i persuasi sia per tentare di dialogare con dubbiosi, scettici e contrari.

Ognuno di noi privilegia, o ha privilegiato nel corso della sua vita, uno dei quattro possibili approcci (religioso/individuale; religioso/collettivo; politico/individuale; politico/collettivo) sino talvolta ad ampliare il proprio cammino come nel caso dei grandi maestri che riuscirono a spaziare su tutti e quattro (Gandhi, Capitini in particolare). Ne risulta un campo di ricerca vasto, di notevole attualità e di enorme portata esistenziale.

Per concludere queste brevi e sintetiche considerazioni mi pare opportuno ricordare alcuni passi dell’intervento di Aldo Capitini alla conferenza triennale della War Resister’s International a Roma nell’aprile 1966, sul tema “Nonviolenza e politica”, utili anche per il completamento della “mappa della nonviolenza” di cui sopra.

Dice Capitini: «Se i nonviolenti vogliono influire sulla politica, cercheranno altri compagni per essere molti, useranno tecniche nonviolente che creano ostacoli… insomma riusciranno a contare qualche cosa politicamente, se saranno attivissimi, pur nella nonviolenza».

E prosegue affermando: «Il politico dice: prima il potere, poi la coscienza; il nonviolento dice: prima la coscienza, poi il potere».

«Vale qui ricordare che i veri nonviolenti, specialmente dopo l’alto insegnamento di Gandhi, non si separano dagli altri, non fanno una setta isolata, ma amano (senza perdere la loro fedeltà alla nonviolenza pura) associarsi tante volte con gli altri, anche diversi, anzi con tutti».

E avviandosi alla conclusione del suo intervento sostiene: «La nonviolenza allena a una rivoluzione aperta permanente che va più in là della democrazia, stabilendo una omnicrazia, cioè il potere di tutti. Sono convinto che continui interventi di ‘rivoluzionari nonviolenti’ per cause giuste, sarebbero accolti bene da molti dei cittadini, e sarebbero un rinnovamento generale della politica degli stati attuali».

Infine, una osservazione che ci sembra tanto attuale da coincidere con l’iniziativa che abbiamo avviato come “Movimento dei movimenti” (per saperne di più si veda oltre al sito del Centro Sereno Regis, www.serenoregis.org, anche quello dedicato specificamente): «A questi interventi interni deve corrispondere la costituzione di una Internazionale della nonviolenza che è già in abbozzo nella War Resister’s International. Nel 1864 fu fondata la Prima Internazionale dei lavoratori; fondare la Internazionale della Nonviolenza è oggi nel tempo giusto».
Anche oggi è il tempo giusto, ma con maggiore urgenza: non lasciamo passare altri cinquant’anni per realizzare questo sogno!

(da Telegrammi della nonviolenza in cammino, 27 settembre 2010)

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