Non c’è giustizia senza vita – La Morte degli Innocenti

Nanni Salio

Mario Marazziti, Non c’è giustizia senza vita, Leonardo International, Milano 2009

Non c'è giustizia senza vita“Occhio per occhio e il mondo diventa cieco” diceva Gandhi riferendosi in generale alla spirale di violenza e vendetta. Affermazione ancora più vera verso la pena di morte, per abolire la quale si sono battuti in passato e continuano tuttora gli spiriti più illuminati, come ricorda Mario Marazziti nella sintetica “Introduzione” al suo libro, dove ripercorre a grandi linee la storia delle lotte per l’abolizione della pena di morte.

L’autore è portavoce della Comunità di Sant’Egidio, nota non solo per essere tra i gruppi fondatori della “Coalizione Mondiale contro la Pena di Morte” ma anche per l’efficace azione di mediazione internazionale svolta soprattutto in Mozambico (raccontata da uno dei protagonisti, Roberto Morozzo della Rocca, in: Mozambico. Dalla guerra alla pace, San Paolo, Cinisello Balsamo, Milano, 1994).

Nel corso della sua azione, Marazziti si è convinto che per capire cos’è la pena di morte si deve cominciare “davvero solo dalle persone” (p.19) e pertanto ci guida in un intenso e coinvolgente “viaggio nel braccio della morte”, che ha inizio da una cittadina del Texas, Huntsville, la cui economia è per due terzi centrata sul carcere e sulla pratica delle esecuzioni giudiziarie.

Il viaggio continua in forma diversa nella seconda parte del libro, “L’arte di vivere”, che ci porta a conoscere la realtà della pena di morte attraverso le storie personali di una decina di condannati, seguiti dagli attivisti della Comunità di Sant’Egidio nella loro drammatica e umanissima opera di riumanizzazione non solo personale, ma anche di una società che sovente li ha giudicati colpevoli seppure innocenti.


Helen Prejean, La Morte degli Innocenti, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2008

Anche suor Helen Prejean, già ampiamente nota per il suo precedente libro Dead man Walking reso ancora più famoso dall’omonimo film, ci guida con intensità, passione e competenza nell’intricato mondo giudiziario statunitense attraverso la storia di due condannati a morte che ha accompagnato seguendoli direttamente nel periodo di detenzione nel braccio della morte e convincendosi della loro innocenza. Di qui il titolo esplicito del libro, “La Morte degli Innocenti”.

Le storie di Dobie Gillis Williams e di Joseph O’Dell, i due condannati, non sono raccontate solo con la meticolosità richiesta in sede giudiziaria, ma con quella intensa partecipazione emotiva, empatica, di profondissima umanità che caratterizza l’opera di coloro che dedicano la propria vita ad assistere e accompagnare persone che, a torto o a ragione, sono state condannate a trascorrere gran parte della propria vita in un carcere, in attesa dell’esecuzione.

Ma la seconda parte del libro non è meno importante. Anzi, ci permette di entrar nel vivo della macchina giudiziaria e delle persone che la fanno funzionare, descrivendo l’incontro che suor Helen ha con il giudice Antonin Scalia, magistrato della Corte Suprema, “che si autodefinisce un ingranaggio della ‘macchina della morte’ “, responsabile di avere respinto le istanze di revisione dei processi dei due personaggi di cui si parla nel libro. Come può un buon cattolico, nonché padre di nove bambini/e, essere così fortemente convinto della bontà e della correttezza, anche sul piano teologico, della pena di morte? Suor Helen ci introduce nelle disquisizioni e contraddizioni ancora oggi presenti in tale materia, nonostante i notevoli passi avanti compiuti dal magistero della Chiesa.

Nel leggere e rileggere per l’ennesima volta le argomentazioni portate a favore della pena di morte, in particolare nel contesto sociale, culturale e politico degli USA, è quasi inevitabile l’accostamento ad altre grandi questioni quali la legge sul porto d’armi, l’atavico razzismo, prima contro i negri e oggi contro gli ispanici con il parziale risorgere del Ku Klux Klan, la irrazionale fiducia nelle armi nucleari e più in generale nel potere delle armi (dal Vietnam all’Iraq all’Afghanistan). Per dirla con Johan Galtung, sono i segni della “cultura profonda”, che ha radici lontane nel puritanesimo e richiede tempo, tenacia, continuità per essere modificata.

Occorreranno ancora molte suor Helen, Comunità di Sant’Egidio, organizzazioni come Amnesty International, per portare a compimento la totale abolizione della pena di morte, non solo in Occidente, ma anche in un paese come la Cina che a tutt’oggi sembra del tutto refrattario a queste tematiche, sebbene anche lì comincino a manifestarsi alcuni piccoli segni di cambiamento.

Un punto di svolta significativo nella lotta per l’abolizione della pena di morte si ebbe nel 2007 quando, anche sull’onda dello sdegno suscitato a livello mondiale per l’esecuzione di Saddam Hussein, voluta dagli USA, si creò un’ampia coalizione di organizzazioni di base e di stati abolizionisti che riuscì a condurre un’efficace campagna sfociata nella moratoria approvata dalle Nazioni Unite il 15 novembre 2008. Anche i dati del rapporto 2010 sulla pena di morte diffusi dall’associazione “Nessuno tocchi Caino” confermano una lieve tendenza alla riduzione delle esecuzioni su csala mondiale.

Tuttavia, l’obiettivo della totale abolizione è ancora lontano, sebbene meno di qualche anno fa e come scrive suor Helen nell’epilogo, “il viaggio continua”, e lei ci invita a compierlo insieme rimanendo in contatto e creando legami, oggi parzialmente più facili nella rete Internet, attraverso i siti segnalati in appendice al testo.

La meta ancora più ambiziosa verso la quale si muovono innumerevoli piccoli movimenti e singole persone, ovvero la costruzione di società nonviolente come quelle sognate e immaginate, fra gli altri, da Gandhi, Martin Luther King e Aldo Capitini può sembrare ancora più lontana, ma fa parte dello stesso sogno.

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