Ho spezzato il mio fucile

Ho spezzato il mio fucile. Storia di un obiettore di coscienza

Enrico Peyretti

Alberto Trevisan, Ho spezzato il mio fucile. Storia di un obiettore di coscienza, nuova edizione accresciuta e aggiornata, EDB, Bologna 2010, con prefazione di Giovanni Nervo, 173 pagine, euro 14,50

Gli obiettori valevano meno di Reder e Kappler

Chi si ricorda oggi che, prima del 1972, gli obiettori di coscienza andavano in carcere? In teoria, se continuavano a rifiutare la divisa e l’addestramento ad uccidere, vi tornavano, condanna dopo condanna, fino ai 45 anni, termine dell’obbligo di leva. Il congelamento attuale della leva, rischia di fare scomparire dall’attenzione la figura dell’obiettore al servizio militare. Ma rimane, e diventa obiezione pluriforme della coscienza di tanti cittadini e cittadine, il rifiuto di sostenere ogni politica che preveda la guerra fra i suoi mezzi:

«Finché la guerra sarà tra le opzioni possibili, la guerra ci sarà»

diceva Teresa Sarti, di Emergency.

Per conoscere le radici, negli ultimi decenni, di questa coscienza, conviene conoscere la storia dei primi obiettori dichiarati. Tra queste testimonianze, ritorna ora il bel libro di Trevisan. Tre anni fra obiezione personale, poi collettiva, processi, carcere, latitanza, propaganda, arresti, sono raccontati da Trevisan con semplicità comunicativa e quadri vivi della condizione di questi antesignani trattati come delinquenti.

Con la legge del ’72 venne la liberazione. Ma solo nel ’94 Trevisan ottenne la cancellazione, da lui pretesa con forza, delle spese processuali ottusamente addossategli dallo Stato, e poi anche la riabilitazione. Trevisan utilizzò il tempo in carcere studiando dal vivo la condizione carceraria per la propria tesi di diploma di assistente sociale. Segnalo, tra i documenti, la lettera di Trevisan al procuratore militare (pp. 50-51) e il significativo verbale del secondo processo (pp. 60-62), steso dagli amici e pubblicato nel libro Processo all’obiettore.

Le figure del libro Ho spezzato il mio fucile

Tante vive figure umane si muovono nel libro: gli altri obiettori, gli avvocati di raffinata competenza, i diversi compagni di carcere, il barbiere amico informatore, le spie, il cappellano militare schiavo del sistema, i giudici di quella “giustizia dei capi” che erano i tribunali militari, e persino gli stragisti Reder e Kappler, prigionieri a Gaeta, privilegiati rispetto agli obiettori, perché militari. Ma c’è anche la gentilezza e rispetto di alcuni soldati e ufficiali. C’è anche la gratuita violenza poliziesca nel terzo arresto, a Vicenza, nel maggio ’72.

Lungo quella vicenda, l’Autore ha conosciuto anche la tentazione di arrendersi, di cedere, ma i genitori e la futura moglie lo hanno sostenuto, insieme ai compagni del movimento e ai suoi maestri di pace. Trevisan traccia dei vivi e documentati ritratti di Capitini e Pinna, La Pira e Dossetti, Milani e Balducci, condannati per aver difeso gli obiettori, Turoldo che nascondeva gli obiettori ricercati, Jägerstätter e Langer.

Nella nuova edizione di Ho spezzato il mio fucile. Storia di un obiettore di coscienza, l’Autore aggiunge le figure di Enzo Melegari, Alerino Peila, Manlio Mazza, e racconta la sua obiezione alla violenza nelle successive esperienze di operaio, punito per l’impegno sindacale con l’assegnazione a lavori pericolosi, e di assistente sociale nei servizi psichiatrici, al tempo della riforma Basaglia. Quindi sottolinea il valore del servizio civile nazionale, sospesa la leva obbligatoria, come nuovo impegno degli obiettori alle armi.

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