Estate, tempo di poter…

abbandonare l’acqua in bottiglia La produzione di bottiglie di acqua di plastica insieme alla privatizzazione della nostra acqua potabile è una catastrofe ambientale e sociale.

Al mare, sulla spiaggia, è particolarmente evidente il numero di bottiglie di plastica abbandonate, schiacciate, senza tappo, sporche, ributtate sulla battigia dopo – immaginiamo – un lungo viaggio in mare. Non fa schifo? Se la risposta è sì, occorre pensare che anche le bottiglie che non vediamo fanno schifo, anche quelle che buttiamo nei cestini in città, quando durante la pausa-pranzo (ogni pausa pranzo) ne compriamo una, in cinque minuti ne beviamo il contenuto e poi… cosa ne facciamo? Mica possiamo tenercela, deforma la borsetta e non è elegante, mica possiamo conservarla e magari l’indomani portarla in ufficio e prima di uscire per la pausa riempirla nel bagno del posto di lavoro

Dedicare una giornata alla settimana a un servizio ambientale invece di guardare la tv L’americano medio guarda quattro ore e mezza di tv al giorno. Prendi un giorno di riposo dal televisore e dedicalo a migliorare il nostro pianeta.

Giacché le bottiglie sulla spiaggia ce le ho messe anch’io (beh sì non proprio quelle, ma fa lo stesso…) quando io sono al mare sapete che cosa faccio? Ogni mattina, quando arrivo (e di solito è presto, c’è pochissima gente e non fa ancora caldo) prendo uno degli innumerevoli sacchetti di plastica abbandonati qua e là e comincio a riempirlo con tutto quello che trovo in giro attorno al posto dove poi mi stenderò a prendere il sole. Non avete idea della quantità di cose incredibili che si trovano! Mi occupo soprattutto dei pezzi di plastica che restano immobilizzati sotto la sabbia, vicino al mare; immagino che, quando il mare si alzerà, si disincaglieranno e fluttueranno nel mare, ingannando qualche pesce che, scambiandoli per qualcosa di commestibile, li ingoieranno, finendo per soffocare come quella balena… Beh, sapete che cosa succede? Che dopo qualche tempo i bambini – sempre loro – vengono a chiedermi che cosa faccio e a volte mi aiutano, magari per poco tempo, ma intanto… Quando mio figlio, ora ventenne, era piccolo, lo facevamo come gioco, ogni mattina, e con lui i suoi amichetti (anche perché così trovavano innumerevoli «tesori» con cui abbellire i loro paesaggi sabbiosi e i loro castelli nel deserto.

Osservare un «eco-sabato» Per un giorno, un pomeriggio o anche un’ora alla settimana, non comprare niente, non usare le macchine, non accendere nulla di elettrico, non cucinare, non rispondere al telefono. In altre parole, date a voi stessi e al Pianeta una pausa nell’uso delle risorse.

In vacanza è un po’ più facile seguire questo suggerimento e andare contro-corrente: l’estate è di solito il periodo in cui, al contrario, si consuma di più, a partire dai viaggi, dai lussi che ci concediamo perché ci stiamo «godendo le meritate vacanze!», per non parlare di tutte le cose che dobbiamo comprare perché non siamo a casa nostra (spendendo molto di più per acquistare cose che avremmo potuto portare da casa).

I consigli in neretto sono tratti da C. Fontana, Vivere a impatto zero. Yes, we can! in «valori», giugno 2010; è un’intervista a Colin Beaven che, con la sua famiglia, ha provato a vivere «a impatto zero» abitando nel centro di New York. L’esperimento è diventato un film (No Impact Man, visto al Festival Cinemambiente di Torino), un libro (Un anno a impatto zero, Cairo Editore) e un blog (www.noimpactproject.org).

(a cura di Cinzia Picchioni – Per contatti: via Bertola, 57 – Torino – 011539170)

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