Noam Chomsky: parlare di verità e potere – Intervista a cura di David Tresilian

Noam Chomsky è stato a Parigi, a fine maggio, invitato da Le Monde Diplomatique e il College de France. Ha presentato il suo nuovo libro: “Hopes and Prospects”, nel quale raccoglie alcuni suoi articoli sull’ America Latina, USA, Medio Oriente e Israele.

Al Ahram Weekly è riuscito a parlare con Chomsky nonostante i tempi strettissimi a disposizione. Quanto segue è un riassunto dell’intervista nella quale Chomsky ha espresso la sua opinione sulla situazione attuale in Medio Oriente e sulla politica statunitense verso Israele, Palestina e la regione a livello globale. (Riassunto dell’introduzione, NdT)

(Su Le Monde Diplomatique del luglio 2010, c’è un’altra intervista, in francese, “Dialoque avec Noam Chomsky”, che probabilmente comparirà tradotta nell’edizione italiana pubblicata con Il Manifesto, verso metà mese, ndc)

Potrei chiederle una dichiarazione sull’attacco di Israele di questa settimana alla Freedom Flotilla mentre si trovava in acque internazionali verso Gaza?

Sequestrare navi in acque internazionali e uccidere passeggeri è, senza dubbio, un crimine molto grave. Gli editori del Guardian di Londra hanno ragione quando dicono: “Se un gruppo armato di pirati somali avesse preso ieri sei navi in alto mare, uccidendo almeno 10 passeggeri e ferendone molti altri, una forza della NATO già oggi si dirigerebbe verso le coste somale”.

È opportuno ricordare che questo crimine non è per nulla nuovo. Israele da decenni sequestra navi in acque internazionali tra Cipro e il Libano, uccidendo o sequestrando passeggeri, portandoseli molte volte nei carceri israeliani che hanno prigioni segrete o camere di tortura, tenuti in ostaggio in alcuni casi per molti anni. Israele ha ben chiaro che può commettere questi crimini impunemente perché gli USA lo tollerano e anche l’Europa fa, in generale, quello che dicono gli USA.

Lo stesso succede con il pretesto usato da Israele per il suo ultimo crimine: la Freedom Flotilla portava materiali che potrebbero essere usati per costruire armi. Lasciando da parte l’assurdità di questa affermazione, se Israele fosse interessato a contrastare le armi di Hamas, saprebbe molto bene come farlo: accettando le offerte di Hamas di un cessate il fuoco. Nel giugno 2008, Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per un cessate il fuoco. Il governo israeliano sa perfettamente che finchè Israele non ha rotto l’accordo il 4 novembre invadendo Gaza e uccidendo mezza dozzna di attivisti di Hamas, questi non aveva sparato un solo colpo. Hamas ha offerto di rinnovare il cessate il fuoco. Il Gabinetto israeliano ha esaminato e respinto l’offerta, preferendo lanciare il 27 dicembre, la distruttiva e mortale operazione “piombo fuso”. Ovviamente non può essere giustificato in alcun modo l’uso della forza come “autodifesa” se non hai esaurito tutti i mezzi pacifici. In questo caso, non ha nemmeno provato, anche se, o forse perché, c’erano molte ragioni per pensare che avrebbe avuto successo. Pertanto, questa operazione è stata più di una semplice aggressione criminale, senza alcun pretesto credibile, e lo stesso succede con l’attuale uso della forza da parte di Israele. L’assedio a Gaza non ha il benché minimo pretesto credibile. E’ stato imposto dagli USA e da Israele nel gennaio 2006 per castigare i palestinesi rei di aver votato “in modo sbagliato” durante elezioni libere, e si è intensificato nel luglio 2007 quando Hamas ha bloccato un tentativo israeliano-statunitense di far cadere il governo eletto attraverso un colpo militare che pretendeva di installare lì l’ uomo forte di Fatah, Muhammed Dahlan. L’assedio è selvaggio e crudele, è disegnato per mantenere animali ingabbiati appena in vita col fine di evitare le proteste internazionali, solo qualcosa più di questo. E’ l’ultima fase dei piani a lungo termine di Israele, sostenuti dagli USA, per separare Gaza dalla Cisgiordania. Sono le linee pure e dure di queste politiche miserabili e impresentabili.

Recentemente le è stata negata l’entrata in Israele. Come vede la situazione nei Territori occupati e a Gaza?

Bene, mi permetta una piccola correzione, mi è stata negata l’entrata nei Territori Occupati, non in Israele. In realtà, se fossi andato in Israele mi avrebbero accolto e dopo sarei potuto andare nei Territori Occupati. Il motivo che hanno dato è che sarei andato solo a Bir Zeit e non a un’università israeliana. Dal mio punto di vista, Israele sta diventando estremamente paranoico, stracolmo di sentimenti ultranazionalisti agendo in modo completamente irrazionale. Sta danneggiando i suoi propri interessi. Il rifiuto alla mia entrata è un piccolo esempio di questo. Se mi avessero permesso di dare una conferenza a Bir Zeit, questa sarebbe stata la fine della storia. In realtà non avrei parlato di Medio Oriente. Avrei parlato degli Stati Uniti e loro lo sapevano perfettamente.Nel caso di Gaza, si tratta di una situazione di brutale tortura. Stanno mantenendo la popolazione appena in vita perché non vogliono essere accusati di genocidio, ma questo è quello che è, un genocidio. Si limitano a sopravvivere. Non è la peggior atrocità nel mondo ma una delle più selvagge. L’Egitto sta cooperando con tutto questo costruendo un muro e negando il permesso perchè entrino cemento e cose del genere, per questo si tratta di un’ operazione congiunta israelo-egiziana che sta letteralmente torturando il popolo di Gaza in un modo che non credo abbia dei precedenti e che è sempre peggio. In Cisgiordania, non si tratta solo di Israele ma degli USA e di Israele. Gli USA fissano i limiti di ciò che possono fare e cooperano con loro. E’ un’ operazione congiunta, allo stesso modo come lo è stato l’attacco a Gaza. E così Israele continua a imporre il suo dominio e ad appropriarsi di ciò che vuole. La terra all’interno del muro di separazione, che è in realtà un muro di annessione, se la prendono. Prenderanno la Valle del Giordano e prenderanno ciò che si chiamava Gerusalemme, che è molto più di quello che è stato Gerusalemme, dato che è un’immensa zona che si allarga verso la Cisgiordania. E dopo abbiamo i corridoi che vanno verso l’est, c’è un corridoio che va da Gerusalemme attraverso Maal Adumin verso Gerico. Se questo si sviluppa totalmente, spaccherà la Cisgiordania. Curiosamente, gli USA hanno bloccato finora i loro sforzi per sviluppare completamente questo corridoio. Qualche anno fa, gli industriali israeliani hanno consigliato il governo dicendo che la Cisgiordania si doveva evolvere, secondo le loro parole, dal “colonialismo” al “neocolonialismo”. Cioè, che dovrebbero costruire strutture neocoloniali in Cisgiordania. Ora sappiamo che cosa significa: prendere qualunque ex-colonia, che consiste tipicamente in una zona di estrema ricchezza e privilegio, in collaborazione con l’ex potenza coloniale e una massa immensa di miseria e di orrore che la circonda. E questo è ciò che suggeriscono. E questo è quello che stanno facendo. Perciò se lei va a Ramallah- io volevo andarci per vederlo di persona ma non ci sono riuscito- è una specie di Parigi, troverà che la vita è molto gradevole, ristoranti di lusso e altro, ma all’interno del paese è tutto molto diverso, tutto è pieno di posti di blocco e la vita diventa impossibile. Bene, questo è il neocolonialismo. Può esserci solo uno sviluppo totalmente dipendente e non permetteranno nessuno sviluppo indipendente, e stanno cercando di imporre un accordo permanente di quest’Ordine.

Salam Fayyad, con cui speravo d’incontrarmi a Ramallah- abbiamo parlato al telefono- ha descritto i suoi programmi in un modo che mi sembra sensato. Prima di tutto, chiede che si boicotti la produzione degli insediamenti, penso che è molto sensato e che tutti dovrebbero sostenerla, pur cercando di ottenere che i palestinesi abbiano altre forme di occupazione per lavorare negli insediamenti, in modo da non contribuire alla crescita degli stessi: partecipando a forme di resistenza nonviolente di fronte all’espansione e facendo qualsiasi costruzione che possano controllare nel contesto israeliano, forse anche nell’Area C, la zona controllata da Israele, e continuando a fare piccoli passi per cercare di stabilire la base di una futura entità indipendente palestinese.

Questa è una questione molto delicata perché Israele potrebbe accettare molto bene questo piano. In realtà, Silvan Shalom che credo sia il vicepremier ministro israeliano, ha tenuto un’intervista su questo tema durante la quale gli chiesero come avrebbe reagito a questa proposta, e rispose dicendo: “Se vogliono chiamare cantoni lo stato che gli abbiamo lasciato, va bene, ma sarà uno stato senza frontiere….” E questo servirà per impiantare essenzialmente una struttura neocoloniale.

C’è un altro elemento da tener presente, che è la forza militare. C’è un esercito guidato da un generale statunitense, Keith Dayton, che viene addestrato in Giordania con la cooperazione di Israele, e ha suscitato molto entusiasmo negli USA. John Kerry, il presidente del comitato delle relazioni estere del Senato, ha tenuto un discorso importante su Israele-Palestina- è una specie di uomo chiave di Obama per il Medio Oriente- dicendo che è la prima volta che Israele ha un partner legittimo per negoziare. Perché? Perché durante l’attacco a Gaza, l’esercito di Dayton è riuscito a impedire le proteste, e Kerry ha pensato che questo era stupendo e anche la stampa lo ha pensato e risulta che ora è un partner legittimo. Se lei legge lo stesso Dayton, dice che sono stati così efficaci durante l’attacco a Gaza che Israele aveva potuto inviare rinforzi dalla Cisgiordania a Gaza per ampliare l’attacco, e Kerry e Obama credono che questo fosse stupendo, quindi, qui avete qualcosa del più tradizionale modello neocoloniale, con forze paramilitari dominate dalla potenza coloniale che mantengono la popolazione sotto controllo. Questi sono passi molto ambivalenti….A meno che gli USA non cambino atteggiamento e si uniscano al mondo in un accordo politico, penso che il panorama sia veramente oscuro e non credo che la posizione egiziana aiuti per nulla.

Si produrrà il cambiamento come conseguenza del ruolo giocato dall’opinione pubblica mondiale, forse allo stesso modo in cui accadde in Sudafrica?

Il Sudafrica è un caso interessante, e merita la pena di guardare attentamente la storia. Intorno al 1960, il Sudafrica cominciò a rendersi conto che si stava trasformando in uno stato-parìa, e il ministro degli esteri sudafricano chiamò l’ambasciatore statunitense – abbiamo adesso le registrazioni della sua telefonata- e disse: “Siamo coscienti del fatto che stiamo diventando uno stato-parìa, e tutto il mondo vota contro di noi alle Nazioni Unite, ma voi e io comprendiamo che c’è solo un voto che conta nelle Nazioni Unite: il suo, che significa che mentre lei ci sostiene, non ci interessa ciò che il resto del mondo dice”. E questo risultò essere esatto.

Nei decenni seguenti, sono aumentate le proteste contro il Sudafrica e alla fine del 1970 ci sono state sanzioni, e le aziende erano in ritirata. Il Congresso statunitense stava approvando delle risoluzioni che includevano sanzioni, che Reagan aveva cercato di evitare per continuare ad appoggiare il Sudafrica, come ha fatto fino alla fine del decennio del 1980, momento nel quale si sono perpetrate le peggiori atrocità, come le guerre in Angola e Mozambico, uccidendo centinaia di migliaia di persone, e tutto questo si è fatto nel quadro della guerra contro il terrorismo. Washington condannò l’ANC (African National Congress, Congresso Nazionale Africano) nel 1988 come uno dei più infami gruppi terroristici del mondo, e fino al 2008 non ha tolto Mandela della sua lista di terroristi. Il Sudafrica sembrava inattaccabile: il mondo era contro di loro ma essi stavano vincendo tutto e si sentivano bene. Poi, nel 1990, gli USA hanno cambiato la loro politica. Si è permesso a Mandela di uscire dalla prigione e l’apartheid crollò in pochi anni, per questo il ministro sudafricano è stato corretto nella sua valutazione.

Credo che Israele stia percorrendo la stessa strada. Non importa quanto il mondo sia contro, mentre gli USA lo sostengono. Ma stanno camminando su un terreno pericoloso: gli USA possono decidere che i loro interessi sono altrove. Ritornando alla sua domanda sul ruolo dell’opinione pubblica mondiale, l’opinione in Europa e in Medio Oriente influisce sostanzialmente sulla situazione. Gli Usa non possono vivere soli nel mondo. Ci sono politici che pensano che dovremmo entrare in una gabbia e non preoccuparci di ciò che accade nel mondo… che questo sarebbe come costruire un muro intorno al paese, uscire dalle Nazioni Unite e non tener conto di qualunque cosa si dica. C’è una certa tendenza in questa direzione nella politica statunitense, ma i dirigenti e le corporazioni multinazionali non possono accettarlo, si preoccupano di quello che pensa il resto del mondo.

L’Europa non sta aiutando molto. Il fatto di aver ammesso Israele nella OCSE conferma la legittimità dell’occupazione. L’Europa sta finanziando la sopravvivenza dei Territori Occupati, ma non sta facendo  nulla per far sì che gli USA accettino l’opinione internazionale, e potrebbe farlo. Proprio adesso, per esempio, ci sono negoziazioni indirette tra palestinesi e israeliani con gli USA che si presenta come intermediario onesto. L’Europa può denunciare che questa è una farsa: quello che dovrebbe avvenire sono conversazioni indirette tra gli USA e il resto del mondo, magari con le Nazioni Unite come intermediario neutrale, mentre gli USA stanno rimanendo da soli nel bloccare un opprimente consenso internazionale, e finchè questo non cambia, non succederà nulla, ed è su questo che conta Israele.

Nel suo discorso al Cairo nel giugno 2009, il presidente Obama ha detto che avrebbe modificato la politica statunitense su nuove basi riguardo il Medio Oriente e il mondo musulmano. Lei ha qualche prova che stia succedendo?

Ci sono piccole differenze. Le prime differenze si sono prodotte tra i due mandati di Bush. Il primo mandato di Bush è stato estremamente  arrogante, abrasivo e aggressivo. Gli USA si presentavano alle Nazioni Unite e dicevano apertamente: “O fate quello che vi diciamo o facciamo a meno di voi”. E questo ha causato molto antagonismo, anche tra gli alleati. Alla gente non piace essere insultata in faccia. Ha prodotto molte critiche e il prestigio degli USA nel mondo è arrivato al suo punto più basso nei sondaggi internazionali e ci sono state molte proteste anche in casa, anche nell’establishment, perché questo danneggiava gli interessi statunitensi.

Il secondo mandato di Bush è stato qualcosa di compiacente, in un certo modo ha tenuto conto di più delle norme ed è riuscito ad avere una specie di appoggio dal centro. Obama si trova un po’ in questa posizione, per questo è un’amplificazione del secondo mandato di Bush. La retorica è più moderata e la posizione più amichevole ma le politiche non sono cambiate in nulla. Consideriamo il discorso al Cairo. La cosa fondamentale è stata che il suo discorso aveva pochissimo contenuto: si è limitato a dire qualcosa come: amiamoci gli uni e gli altri. Ma mentre si recava al Cairo ha tenuto una conferenza stampa e un giornalista gli ha chiesto: “Dirà qualcosa sul regime autoritario di Mubarak?” E rispose con le seguenti precise parole e: “Non mi piace usare etichette con le persone. Sta facendo cose buone. Quindi, è un amico”.  Non devo raccontarvi com’ è la situazione dei diritti umani in Egitto….la gente del Medio Oriente, se fosse dipeso da quel momento, avrebbe compreso che nulla sarebbe cambiato.

E lo stesso succede con le politiche in relazione a Israele.  Le sue politiche sono anche più dure di quelle dei due mandati di Bush. Adesso, per esempio, c’è una controversia riguardo l’espansione degli insediamenti. E’ molto simile alla controversia che è sorta 20 anni fa quando il primo George Bush e James Baker, il segretario di Stato, erano al potere. Potete ricordare che c’è stato un tempo in cui ogni volta che Baker andava a Gerusalemme, il primo ministro, Yitzhak Shamir, approfittava dell’occasione per annunciare un nuovo insediamento, era come insultare Baker – a lui, che era un patrizio, non piaceva per nulla che Israele lo insultasse- e Bush si limitò a penalizzare lievemente Israele. Impose leggere sanzioni sotto forma di restrizioni nelle garanzie dei crediti che si supponeva coprissero le spese degli insediamenti, ma è bastato e Israele ha cambiato velocemente politica.

Bene, questo è quello che sta succedendo ora, con una differenza. Obama ha detto che non avrebbe imposto nessuna sanzione e che le sue proteste sono puramente simboliche, è stata la sua portavoce a dirlo rispondendo a una domanda. Inoltre, tutto il parlottare sull’espansione degli insediamenti è veramente una nota a piè di pagina: il problema sono gli insediamenti, non l’espansione degli insediamenti. La posizione di Obama è stata quella di ripetere quello che disse George W.Bush e ciò che si trova nella Road Map, le parole della Road Map, ovvero che in primo luogo non ci deve essere nessun’altra espansione, neanche come crescita naturale. Questo lo ha ripetuto Obama, ma lo ha fatto in modo tale da lasciare intendere che non avrebbe fatto nulla in particolare, e lo stesso succede con il resto delle questioni.

Quando ha annunciato la nomina di George Mitchell ha tenuto una conferenza sul Medio Oriente. In sostanza ha detto: “C’è buona speranza per la pace, vi è un disegno costruttivo sul tavolo” e dopo si è diretto ai paesi arabi e ha detto che dovevano onorare ciò che dicevano e andare avanti verso la normalizzazione delle relazioni con Israele. La proposta è di istituire una soluzione di due stati in questo contesto avanzando verso la normalizzazione, così molro studiatamente ha ignorato il contenuto della proposta concentrandosi sul corollario, che è un modo per dire che non cambierà posizione e non si unirà al resto del mondo a sostegno dell ‘accordo dei due Stati, e così continua a essere per sempre.

Al momento delle elezioni, la gente era piena di speranza di vedere un nuovo presidente degli Stati Uniti, soprattutto dopo gli otto anni di Bush. Nel suo nuovo libro descrive Obama come una “pagina bianc”, dove la gente può scrivere quello che vuole. Come valuta Obama?

Ho effettivamente scritto su di lui prima delle elezioni, prima ancora delle primarie, e non cambierei nulla di ciò che ho detto. Se avete guardato il programma, si presentava con la tipica retorica democratica centrista gradevole, buon venditore. Come sapete, ha ottenuto un premio del settore propaganda per la migliore campagna di marketing del 2008, quindi questo è vero. E’ educato, intelligente, sa scrivere bene, è affabile e si comporta come se gli piacesse la gente. Ma che cosa c’era in tutto questo richiamarsi al cambiamento? Era vuoto. In realtà non era altro che una pagina vuota: si può scrivere quello che si desidera. Nulla ha detto in cosa consisteva il cambiamento, o che cosa era la speranza. E ‘stato solo e soltanto “sarà un cambiamento”.

McCain aveva gli stessi slogan, il motivo è ovvio. Negli USA, è l’industria propagandistica che guida le elezioni e i dirigenti dei partiti leggevano i sondaggi e sapevano che essi mostravano che l’80% della popolazione pensava che il paese era sulla strada sbagliata. Per questo, la piattaforma della tua campagna deve riflettere “speranza e cambiamento” e questo ha fatto Obama. E lo ha fatto in modo incantevole e ha stimolato molta gente affinchè si sentisse entusiasta e si emozionasse, ma la realtà è che la ragione principale per cui ha vinto è stato l’appoggio delle istituzioni finanziarie. Lo preferivano a McCain e gli hanno dato il finanziamento necessario e questo ha fatto sì che vincesse le elezioni. Aveva l’appoggio popolare, ma è stato grazie alle istituzioni finanziarie, che speravano gli restituisse il favore – è così che funziona la politica- e non si vedono tradite.

Ci sono stati enormi piani di salvataggio bancari e la grande banca è più ricca e potente di prima e, infine, quando Obama ha cominciato a reagire di fronte alla furia popolare e ha cominciato a parlare degli “avidi banchieri”, gli hanno detto velocemente: “Hai superato, e di molto, il limite”, e hanno cominciato a finanziare i repubblicani, che favoriscono molto di più le grandi aziende rispetto a Obama. Questa è la natura della politica statunitense.

Durante la presidenza Bush, abbiamo visto come gli USA usavano la tortura in Iraq, le “consegne straordinarie” e la forza delle relazioni internazionali, schivando l’ONU nonostante le proteste internazionali. Gli USA si sforzeranno di restaurare la loro immagine di fronte all’opinione pubblica mondiale, vista la deludente esperienza con Obama?

Più di questo, non si è fatto quasi nulla e in realtà, sotto alcuni aspetti, è peggio di Bush. Lo espongo in modo dettagliato nel mio libro. C’è stato un caso nel Tribunale Supremo, che ha determinato che i prigionieri di Guantanamo avevano diritto all’ habeas corpus, e l’amministrazione Bush l’accettò ma dichiarò che non l’avrebbe applicata a Bagram (una delle carceri di detenzione in Afghanistan, ndt). Il caso ritornò ai tribunali e un giudice in prima istanza, che era nominato da Bush, un giudice di destra di un tribunale di prima istanza, lo annullò e dichiarò che si doveva applicare anche a Bagram. Il dipartimento di giustizia di Obama sta cercando di cambiare questo risultato in modo che non possa essere applicato a Bagram. Su questo sta andando oltre Bush.

Se io fossi un avvocato dell’amministrazione Bush, sottolineerei che le accuse contro Bush per le torture non possono in realtà aver luogo sotto la legge statunitense. Quasi tutto quello che fece Bush è stato approvato nell’ambito della legge degli Stati Uniti. Gli USA non hanno firmato la Convenzione contro la Tortura, o la hanno firmata con delle riserve. E’ stata riscritta con molta cautela  per escludere le modalità di tortura che la CIA aveva sviluppato e introdotto nei suoi manuali di tortura. La cosiddetta “tortura che non lascia tracce”, la tortura psicologica, la tortura mentale. La CIA si è ispirata ai manuali del KGB e ha scoperto che i modi più efficaci per trasformare una persona in un vegetale sono le torture psicologiche, come il totale isolamento, le umiliazioni e altre cose del genere. Se guardiamo i casi di Abu Ghraib e Guantanamo, applicavano questo tipo di torture, per lo più “psicologiche”, non elettrodi ai genitali. Per questo, potevano sostenere che stavano agendo correttamente nel quadro della legge statunitense.

In realtà, probabilmente, l’unica differenza tra l’amministrazione Bush e le anteriori è stato che, nel caso di Bush, la tortura l’hanno effettuata gli statunitensi. Abitualmente, gli USA incaricano altri: fu fatta da sud vietnamiti, guatemaltechi  o egiziani. Questo è il significato delle “extraordinary rendition” (consegne straordinarie, pratica illegale di detenzione attuata dalla CIA, ndt). Invii le persone in un altro paese affinchè altri facciano le torture. Ma in questo caso si stavano facendo precisamente a Guantanamo.

Attualmente, l’unica rivelazione realmente interessante dei memorandum sulla tortura, dei quali non si ha molta informazione, è che gli interrogatori dimostrano che erano fatti sotto la pressione di Cheney e Rumsfeld perché si ottenesse qualche forma di corroborazione della loro posizione secondo cui abbiamo invaso l’Iraq perché esso era legato ad Al-Qaida, che era un’affermazione ridicola. Ma questo sembra essere stato l’elemento che ha dato il via alla maggior parte delle torture.

Il suo ultimo libro si chiama “Speranze e Prospettive”. Quali sono le speranze?

La prima parte del libro parla di America del Sud, dove abbiamo molti sviluppi del tutto incoraggianti. Per la prima volta in 500 anni, dall’epoca dei conquistatori, l’America del Sud sta cominciando a ottenere un certo grado d’indipendenza e integrazione e a riuscire ad affrontare almeno alcuni dei suoi più gravi problemi interni. La struttura coloniale  è estrema nell’ America del Sud, dove c’è una concentrazione molto forte della ricchezza in mano a un’elite europeizzata, di maggioranza bianca, circondata da un’orribile situazione tragica e con la peggior disuguaglianza del mondo in una regione che ha moltissimi risorse e potenziale. E si stanno prendendo alcuni provvedimenti per correggere questa situazione.

Negli stessi USA si stanno producendo cambiamenti. Non so se sono sufficientemente veloci perché possano superare i principali problemi, ma prendiamo solo la questione Israele-Palestina. Non molti anni fa se volevo tenere una conferenza su questo tema dovevo essere scortato dalla polizia nell’Università perché gli incontri potevano concludersi violentemente. Posso ricordare un’occasione in cui la polizia ha insistito per accompagnare me e mia moglie fino alla nostra macchina dopo un incontro all’università. Questo aspetto non è cambiato completamente, ma si è evoluto con gli anni ed è cambiato molto dopo Gaza. Adesso mi ritrovo con un pubblico entusiasta, molto coinvolto, molto impegnato, che vuole cambiare le cose.

Non ha avuto ripercussioni sui media e neanche sulla classe politica né intellettuale, ma qualcosa sta cambiando in tutto il paese e prima o poi queste cose hanno effetto. In qualche senso è dovuto al fenomeno Obama, perché ha seminato molte aspettative e ha suscitato molto attivismo. Ma la delusione adesso è diffusa. Se questi cambiamenti continuano a svilupparsi, con il tempo si possono avere finalmente dei cambiamenti importanti, come è successo in Sudafrica.

Gran parte del suo lavoro si è concentrato sul controllo dei mass media e sulle deficienze della classe intellettuale negli USA, dove risulta difficile mantenersi al margine di uno stretto spettro di opinione. Come vede la sua posizione in questi momenti?

In primo luogo non direi che gli USA siano molto diversi da altre società su questo argomento. Possono esserci questioni diverse, ma non c’è molta differenza rispetto a Inghilterra o Francia. In ogni società c’è una frangia di dissidenti. Questo è stato vero nel corso della storia. Perché lo fanno? Perché si sentono impegnati in certi valori e ideali e decidono di non conformarsi. Normalmente non sono trattati molto bene e il modo in cui vengono trattati dipende dalla natura della società, che non agisce mai in modo cortese. In alcune società puoi riuscire a far volare le tue idee, in altre ti portano nei gulag, in altre sarai diffamato. Ai sistemi del potere non piacciono i critici e usano qualsiasi tecnica per affondarti e condannarti.

Ma quello che è sempre stato molto caratteristico, nella storia, è che le classi intellettuali si sono subordinate al potere, con pochissime eccezioni. Tuttavia, ci sono sempre persone che non si sottomettono e continuano la loro strada indipendententemente. A questo riguardo, gli USA non sono molto duri, per questo persone con una certa quantità di privilegi, come succede a molti, e certamente a me, sono abbastanza immuni di fronte a una forte repressione. Avevo di fronte la possibilità di una pena detentiva lunga, e quasi mi condannavano, ma è stato a causa di una resistenza aperta e chiara. Non potevo obiettare nulla perché ho fatto cose apertamente e coscientemente illegali nella resistenza contro la guerra, per questo se dovevo andare in prigione non potevo chiamarla repressione. Per parlare e scrivere e così via, la punizione è l’emarginazione e la diffamazione,  ma puoi convivere con questo. Conto molto sul sostegno della gente.

Il giornalista Chris Hedges sta conducendo delle ricerche sul New York Times e poche settimane fa si è trovato con un memorandum del capo editore di quel giornale agli scrittori e ai giornalisti nel quale si diceva che non si poteva nominare il mio nome. La National Public Radio (Radio Nazionale Pubblica) ha detto che sono l’unica persona alla quale non permetteranno mai di apparire nelle notizie nell’orario centrale né nei programmi di dibattito. Ma questa non è una punizione molto grande, e quando arriverò a casa avrò centinaia di messaggi arrivati tramite posta, e tra questi ci saranno una decina di inviti per incontri in tutto il paese e in quasi tutti parteciperà un pubblico importante di persone interessate e impegnate che sono ricettive e vogliono fare qualcosa, e questo è più che sufficiente per incoraggiarmi a continuare.

Ho accesso ai mass media esteri in alcune occasioni, per esempio, se mi mostro critico verso gli USA, ho accesso nei media. Ma se critico i paesi che m’invitano, è finita, sistematicamente. L’ho notato anche in Canada. Se vado in Canada, hanno piacere di ascoltarmi come critico gli USA, ma se comincio a criticare il Canada, la porta si chiude e lo stesso succede in tutte le parti.

Per ultimo, perché ha criticato la formula di “dire la verità al potere”, che il defunto Edward Said ha usato per descrivere il ruolo degli intellettuali?

Questo è sicuramente uno slogan dei Quaccheri, e mi piacciono i Quaccherimi e voglio fare cose con loro, ma non sono d’accordo con lo slogan. In primo luogo, non devi dire la verità al potere, perché esso sa bene qual è. E in secondo luogo, tu non dici la verità a nessuno, questo è troppo arrogante. Quello che puoi fare è di unirti alle persone e cercare di trovare la verità, per questo devi ascoltare e dire ciò che pensi e così via, cercare di dare animo alle persone perché pensino con la loro testa. Ci preoccupano le vittime, non i potenti, per questo lo slogan dovrebbe essere un impegno per i deboli, aiutarli e aiutare te stesso a trovare la verità. Non è uno slogan facile da formulare in cinque parole, ma credo che sia quello giusto.

05/07/2010

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=33460

Tradotto da Vanesa, per Voci della Strada
Fonte http://www.tlaxcala.es/pp.asp?reference=10842&lg=it

Revisione a cura del Centro Studi Sereno Regis

Titolo originale: Noam Chomsky: speaking of truth and power http://weekly.ahram.org.eg/2010/1001/intrvw.htm

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.