A proposito di transizione… un po’ più di una recensione – Davide Bassignana

Rob Hopkins, Manuale Pratico della Transizione, Il Filo di Arianna, Novembre 2009, Pag. 283
Rob Hopkins,
The Transition Handbook, Greenbooks LTD, 2009 UK

Se la modernità è basata sui conbustibili fossili si può considerare…fossilizzata.
Vandana Shiva

È arrivato il momento di usare la nostra conoscenza per agire.
Lester R. Brown

L’uomo moderno, nell’era antropocenica, si comporta come soggetto scollegato dalla Natura di cui è parte, abbandonandosi a comportamenti da super-uomo, consentiti da un uso senza limiti e irrazionale dei combustibili fossili, nell’assoluto disinteresse di quelli che sono i ritmi della biosfera.

In un misto di esperienze di vita e analisi scientifiche Rob Hopkins ci accompagna in un percorso di transizione capace di aprire gli occhi e la mente delle persone e di uscire dai soliti canoni del progresso e dello sviluppo materiale.

Le sue esperienze si riferiscono soprattutto al mondo anglosassone ma anche a culture pre-industriali. Egli mette a nudo le contraddizioni del nostro stile di vita rispetto ad altri mediante un atteggiamento empatico, solidaristico e mettendosi in gioco personalmente.

Hopkins ci racconta delle comunità pakistane che da secoli vivono la valle di Hunza praticando l’agricoltura naturale, vivendo in armonia con la Natura che li ospita e dando valore alle relazioni umane.

Nei primi capitoli affronta le problematiche relative ai cambiamenti climatici e soprattutto al picco del petrolio sulle quali tanto è stato scritto e documentato. Come ci ricorda Colin Campbell, quando ci si avvicina al tema del picco del petrolio non è importante capire se il petrolio finirà domani o fra tre anni, ma è importante comprendere se saremo in grado di affrontare il cambiamento che avverrà!

Hopkins ci suggerisce di vedere il picco del petrolio e i cambiamenti climatici come due facce della stessa medaglia. Banalizzando possiamo dire, riferendoci a un veicolo, che il cambiamento climatico è un problema di fumi di scarico mentre il picco del petrolio riguarda il carburante che mettiamo nel serbatoio. Quindi vanno affrontati come un unico problema. Possiamo quindi considerare valide delle soluzioni come la sostituzione del petrolio con il carbone liquido? Oppure può essere una soluzione valida lo stoccaggio artificiale di CO2?

Di fronte a soluzioni reattive, il movimento della transizione (MdT) propone un atteggiamento preventivo definito anche pre-traumatico.

Spesso il sentimento che accompagna chi approfondisce il tema del picco del petrolio è di angoscia, viene anche definito sindrome da stress post-petrolifero.

Consumare energia crea dipendenza, soprattutto se la nostra felicità passa sempre più frequentemente attraverso attività di consumo di beni materiali.

Hopkins affronta questi temi dal punto di vista psicologico e comportamentale: quali azioni è opportuno mettere in campo per affrontare la dipendenza da combustibili fossili e come rendere permanenti e stabili i cambiamenti?

Figura 1 Stadi del cambiamento secondo il modello Di Clemente/Proshaska

È fondamentale riscoprire l’immaginario, tornare a sognare, non a caso John Croft, propone quattro fasi fondamentali per la riuscita di un progetto: sognare, pianificare, realizzare, festeggiare.

Ciascuno di noi ha potuto sperimentare quanto sia difficile modificare le proprie abitudini. Esiste un ramo della psicologia che affronta il tema del cambiamento per stadi. Il modello degli stadi del cambiamento è stato sviluppato nei primi anni 1980 da Carlo De Clemente e James Proshaska. Il loro lavoro era orientato a sviluppare un processo di cambiamento comprensibile a tutti e general purpose cioè applicabile a diversi tipi di comportamento. È importante sottolineare che il processo di cambiamento, una volta intrapreso, può subire un arretramento ad uno degli stadi precedenti anziché una evoluzione. Ecco perchè occorre prestare molta cura alla fase di consolidamento e mantenimento dei cambiamenti perseguiti. Il sentimento quindi di impotenza che accompagna la comprensione di questi fenomeni, inesorabili, deve essere indirizzato verso una insoddisfazione ispiratrice (Chris Johnstone).

Pensate che bello se cambiassimo completamente prospettiva, dipingendo invece un futuro che guarda a ciò che otterremo piuttosto che a ciò che perderemo, talmente attraente da far nascere nelle persone il desiderio istintivo di costruirlo.

Nel suo percorso di formazione Hopkins comprende come sia importante indirizzare le energie dell’uomo e delle comunità che decidono di affrontare questi problemi in chiave evolutiva, attraverso un metodo che permetta di sviluppare resilienza, quindi capacità di resistere ai forti cambiamenti che avverranno. Il concetto di resilienza supera quello di sostenibilità perché aiuta a rendersi indipendenti dai combustibili fossili.

Ma quali strumenti il MdT ci fornisce per trasformare bucoliche visioni in azioni e soluzioni concrete? Una iniziativa di transizione intende offrire un contributo verso l’autosufficienza di una comunità. Il metodo si sviluppa dal basso verso l’alto, agisce sul comportamento collettivo, quindi sul piano dell’intelligenza collettiva, utilizza la speranza e l’ottimismo come leve per spingere all’agire, per realizzare azioni verso la resilienza economica locale con interventi su differenti livelli.

Con le parole di Rob Hopkins e David Holmgren possiamo dire che le Iniziative di Transizione sono la generosa accettazione della decrescita energetica, non solo come fine inevitabile, ma come realtà desiderabile. Uno dei principi fondamentali per costruire un “Piano di Azioni per la Decrescita Energetica” attraverso una Iniziativa di Transizione è la permacultura, da permanent-culture, cioè cultura-permanente, modello nato dai principi dell’agricoltura sostenibile (permanent-agricolture) sviluppato da Bill Mollison e Davide Holmgren in Australia nel 1978, successivamente evolutosi su un piano anche culturale.

La permacultura insegna a progettare insediamenti umani che imitino il più possibile gli ecosistemi naturali. Progettare in permacultura significa creare sistemi produttivi sostenibili ed in equilibrio con la Natura. La permacultura assume come misura di produzione la modalità di produzione della Natura, quindi non è orientata al profitto.

I fondamenti etici della permacultura sono: a) prendersi cura della terra; b) prendersi cura della gente; c) condividere le risorse.

Possiamo a questo punto sintetizzare i sei principi che stanno alla base della Transizione:

1. La capacità di immaginare ciò che vogliamo ottenere, avere una chiara visione dei nostri obiettivi di transizione.

2. Affrontare un tema che ci coinvolge a livello globale non è semplice, ed è forse è la prima volta che accade. Facilitare dunque il dialogo fra gruppi sociali e l’inclusione sono aspetti fondamentali.

3. Aumentare la consapevolezza della fine, prossima, dell’era del petrolio è un elemento necessario anche se occorre prestare attenzione al rischio, concreto, di essere additati quali catastrofisti.

4. Il principio di resilienza è un elemento essenziale per riorganizzare una comunità ad ‘emissione zero’.

5. Non perdere di vista l’aspetto psicologico nella gestione del cambiamento dei singoli e della comunità.

6. Nel film La guerra del fuoco di Jean-Jacques Annaud la comunità preistorica, ancora incapace di riprodurre il fuoco, affronta mille traversie nella disperata ed estenuante ricerca di un fuoco vivo da cui trarre della brace, per dare vita ad un nuovo fuoco. Solo la conoscenza proveniente da altre culture permetterà loro di superare questa titanica fatica e generare autonomamente il fuoco tramite lo sfregamento di due legni. Lo scambio e il ‘meticciato’ permettono di sviluppare competenze necessarie a costruire nuove soluzioni e strumenti di azione.

Le iniziative di transizione devono essere opportunamente dimensionate, diversi sono stati i gruppi che si sono arenati o spenti nel tentativo di coinvolgere realtà troppo allargate o con un approccio dall’alto verso il basso. Il supporto delle autorità locali è sicuramente fondamentale, tuttavia deve trattarsi di un incoraggiamento e sostegno successivi alla genesi di una Iniziativa di Transizione che deve nascere, prima di tutto, dalla pancia della comunità.

Hopkins ha cercato di tradurre in metodo l’esperienza delle prime Transition Town, tuttavia occorre tenere presente che le tappe proposte dal metodo non sono una ricetta ma possono e devono essere adattate e contestualizzate.

Ecco un esempio dei passi che il MdT propone per questo cammino.

Passo 1Istituire un gruppo guida

Questo gruppo porta avanti il progetto di transizione nelle prime fasi all’insegna dell’umiltà, stabilendo la durata dell’azione di tale gruppo sin dall’inizio. Il suo compito è quello di affrontare i passi dall’uno al cinque.

Passo 2 Aumentare la consapevolezza

In questa fase il ruolo del gruppo di guida è quello di contagiare e tessere relazioni per formare una rete capace di approfondire i temi e le minacce legate al picco del petrolio e ai cambiamenti climatici attraverso l’utilizzo di strumenti multimediali, tavole rotonde, convegni, articoli su giornali locali… Si potrebbe ad esempio organizzare un database nel quale censire tutti i gruppi che si occupano di sostenibilità a livello locale.

Passo 3 Gettare le basi

Questo passo è caratterizzato da un’ attività tesa a organizzare e coordinare, con un approccio inclusivo, le iniziative e i contributi che, a vario titolo e in diversi ambiti, vengono già realizzati da anni sul territorio. Aiutare a formare una coscienza e identità collettiva, nelle quali ciascuno si senta protagonista, che permetta ai vari gruppi di impegno civile e istituzionale di camminare nella stessa direzione con uno scopo comune riconosciuto.

Su un piano individuale per avviarsi al cambiamento è necessario impegnarsi per comprendere ed essere consapevoli:

dei meccanismi personali che impediscono o rallentano la nostra capacità di modificare i comportamenti acquisiti col tempo, abitudini e dipendenze;

delle nostre difficoltà ad avere una visione collettiva e globale dei problemi.

Tutto ciò allo scopo di mettere in campo e offrire dei percorsi di mutuo aiuto nel percorso.

Passo 4Organizzare un grande lancio

Una volta poste le basi per entrare in transizione e aver aiutato a riscoprire quel desiderio di agire della comunità allargata si organizza una grande manifestazione che permetta di comprendere l’importanza della svolta che si è intrapresa.

Passo 5 – Formare gruppi di lavoro

Si formano gruppi di lavoro capaci di approfondire le varie tematiche riguardanti il “Piano di azione per la Decrescita Energetica” che sappiano attingere dall’ingegno collettivo della comunità. Ciascun gruppo sviluppa in autonomia il metodo di lavoro e le attività concentrandosi sugli aspetti specifici del processo ma in modo coordinato rispetto al progetto nel suo complesso.

Passo 6 Utilizzare un sistema di spazi aperti

Il MdT propone l’Open Space Technology come metodo di lavoro per sviluppare gli argomenti all’interno dei gruppi di lavoro. Il gruppo di persone si ritrova per esplorare un particolare argomento, senza alcun ordine del giorno, senza un preciso coordinatore, nessuno che si prenoti a parlare. Ciò che emerge dalla riunione viene trascritto e successivamente rielaborato. Questo permette una maggiore libertà di espressione e condivisione di idee.

Passo 7Sviluppare manifestazioni pratiche e visibili del progetto

Ciascun gruppo deve mantenere un equilibrio fra astrazione e concretezza nelle proprie azioni affinchè non venga meno la disponibilità delle persone a partecipare in modo il più possibile costante.

Passo 8Facilitare la riappropriazione delle competenze

Se vogliamo dare una risposta al picco del petrolio e al cambiamento climatico globalr incamminandoci verso un futuro a più basso consumo energetico e basando le economie delle nostre comunità sulle risorse locali, allora dobbiamo recuperare le competenze che i nostri nonni davano per scontate: orticoltura, cucina, raccolta di erbe, tinture, efficienza energetica degli edifici, manutenzione della bicicletta, riduzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero dei beni…

Passo 9Costruire un ponte con l’amministrazione locale

Coltivare un rapporto positivo e produttivo con le autorità locali può aiutare a dare maggiore ampiezza e respiro al piano di decrescita energetica. Su alcuni aspetti come il consumo del suolo e dell’acqua il ruolo giocato dagli enti locali è fondamentale.

Passo 10Onorare gli anziani

Recuperare quel rapporto con la memoria, imparando ad ascoltare i nostri anziani.

Per comprendere meglio la direzione in cui muoversi è fondamentale la trasmissione culturale per: conoscere da dove veniamo; sapere chi siamo; dove possiamo e vogliamo andare; cosa lasceremo a chi verrà dopo di noi.

Passo 11Lasciate che vada dove vuole…

Le strade per accompagnare una comunità ad aumentare la propria resilienza energetica, cioè imparare a risparmiare energia e ad approvvigionarsi da fonti alternative al petrolio, possono essere diverse. Per evitare una fase di stallo occorre accompagnare questo cambiamento evitando rigidità eccessive nei tempi e nei contenuti.

Passo 12Sviluppare un “Piano per la Decrescita Energetica”

Questo percorso che porta la comunità a riprogettarsi nell’ottica della riduzione di emissioni di CO2 si concretizza attraverso la stesura del Piano di Azioni per la Decrescita Energetica che si perfeziona per approssimazioni successive, in funzione della misurazione dell’efficacia delle azioni intraprese.

Per chi è riuscito ad arrivare sin qui tengo a sottolineare l’aspetto dell’ascolto. Il bombardamento informativo cui siamo soggetti attenua quello che io considero il sesto senso. Può essere di aiuto e arricchente ascoltare nella convinzione che il nostro interlocutore abbia qualcosa di interessante da comunicare. Un ascolto ‘nudo’ scevro della nostra sapienza che ci rende sordi, impermeabili, un ascolto vivo teso a comprendere il punto di vista dell’altro, intimamente carico del desiderio e della curiosità di farsi contaminare.

Ho avuto l’impressione che la versione del manuale nella traduzione italiana, in alcuni passaggi più tecnici, non fosse così chiara. Numerosi sono gli esempi e gli strumenti pratici che il manuale, in perfetto stile anglosassone, fornisce: metodi di gestione dei gruppi di lavoro, esercizio della rete di resilienza…

Le iniziative di transizione nascono dal basso e non necessariamente da un gran numero di persone. Il sentimento che accomuna questa avanguardia è caratterizzato dal comune sentire che la civiltà deve trovare un equilibrio nel rapporto con la Natura di cui è parte.

Non c’è nulla di ideologico in tutto ciò, solo un irresistibile istinto di sopravvivenza unito a una particolare sensibilità di queste persone che rappresentano quella spinta evolutiva per la sopravvivenza della specie.

Invece di farci crescere il collo lungo come le giraffe, la Natura ci spinge ad acuire il nostro ingegno collettivo. Sapremo ascoltarla?

Figura 2 Agricoltura sinergica nell’orto comunitario di Trana (Aprile 2010)

Come scrive Danilo Mainardi in La bella zoologia, sapremo sviluppare in tempo le corrette difese per sopravvivere e affermare la sapienza, o intelligenza della specie?

La consapevolezza di essere tutti inquilini di Gaia dovrebbe aiutarci ad utilizzare le nostre conoscenze per agire prima che la Terra ceda sotto la pressione dei nostri piedi.

Non vogliamo farci imprigionare da quel delirio di onnipotenza e voracità che la civiltà industriale porta con sè, per la quale ‘gli uomini sono separati dalla Terra’.

Occorre mettersi in cammino, affrontando una migrazione degli stili di vita per provare a cambiare individualmente e collettivamente.

Rivalta di Torino, 14 Aprile 2010

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