Stiamo spalla a spalla con la popolazione di Haiti

Marilyn Langlois

Quando gli hanno chiesto “Come fanno a sopravvivere?” il giornalista haitiano Wadner Pierre ha risposto, “Beh, condividono tutto. Ecco quel che facciamo. Gli haitiani fanno così” (16 gennaio 2010)

“In città c’è stata poca violenza, nonostante la diffusa paura che l’estrema carenza di cibo, acqua e ripari innescassero disordini.” (21 gennaio)

Ringrazio il mio quotidiano locale, il Contra Costa Times, per aver incluso  nel suo servizio le immagini  sul disastroso terremoto del 12 gennaio u.s.  Sono immagini vitali perché riflettono la nostra vera natura umana troppo spesso occultata da una perniciosa struttura profonda.

Nel 2005, dopo aver ascoltato i notiziari radio sull’uragano Katrina pensai fra me e me quanto fosse tragico. Ma quando vidi le foto dell’uragano che mostravano come fossero stati incredibilmente lenti gli sforzi di soccorso e assistenza nel giungere ai poveri quartieri afro-americani fra diffuse paure di sciacallaggio e disordini, mi sentii una stretta al cuore di terrore. Provai un dolore viscerale di fronte alla realtà che la struttura profonda del razzismo su cui venne fondata la mia nazione continui tuttora, nonostante l’abolizione della schiavitù, l’approvazione della Legge sui Diritti Civili, e la crescente consapevolezza di tanta gente di tutte le etnie che siamo veramente tutti uguali.

Questa struttura profonda si basa sull’idea che i poveri di discendenza africana siano meno che umani, da sfruttare economicamente quando va bene e da temere quando va male. E’ una struttura progettata per proteggere la ricchezza di pochi a spese della nostra comune umanità.

Dopo che  il terremoto ha colpito Haiti, ho provato di nuovo quella stretta al cuore vedendo altre manifestazioni di quella struttura profonda: sentendo che la reazione USA dava la priorità alla “sicurezza” rispetto all’assistenza umanitaria urgente; leggendo che i militari USA avevano preso il controllo dell’aeroporto di Port-au-Prince rimandando indietro gli aerei che trasportavano ospedali da campo; vedendo che le donazioni di acqua, cibo e provviste non arrivavano affatto a molte zone colpite e che alcuni dei pochi sopravvissuti alle scosse iniziali erano morti d’infezione e disidratazione in modo del tutto evitabile.

La struttura profonda del razzismo ha infettato gran parte dei media che plasmano la consapevolezza della gente, ma se  apriamo occhi e cuori emerge la solidarietà che sta alla base della nostra umanità. Appena arriviamo a conoscere persone di varie etnie e provenienze,  quella struttura profonda comincia a sgretolarsi. La vedo scomparire giorno dopo giorno nelle persone della mia città, Richmond in California, che considerano i propri vicini fratelli e sorelle, sfidando gli stereotipi negativi che questa struttura profonda ha contribuito a mantenere nella nostra città. Sin da quando ero ragazzina e mi accorsi per la prima volta della sua esistenza, mi sono data da fare come donna bianca per smantellarla dentro di me.

La gente di tutto il mondo sta donando generosamente senza esitazione per sostenere coloro che soffrono a Haiti, e i soccorritori accorrono  per portare aiuto. Questo è ciò che fa la gente. E’ nella natura umana. Penso che a livello individuale gli stessi soldati preferirebbero occuparsi immediatamente della gente anziché eseguire l’ordine di fare la guardia alle  provviste ingolfate all’aeroporto. Molto prima del terremoto, ho sentito parlare della collaborazione di centinaia di associazioni di gruppi locali di base negli USA e ad Haiti per costruire scuole, cliniche, e altri progetti. I medici cubani che da anni si trovano ad Haiti, stanno a fianco dei medici haitiani giorno e notte per curare le vittime del sisma pur disponendo di provviste mediche minime (nonostante i militari USA abbiano respinto altri medici cubani che intendevano venire). Tutti le persone di mia conoscenza che abbiano avuto modo di viaggiare ad Haiti e di entrare direttamente in contatto con gli haitiani e il loro spirito indomabile immancabilmente se ne sono innamorati, come è avvenuto per me.

Il terremoto mi tocca molto personalmente perché ho cominciato a conoscere Haiti e la sua storia poco prima del terremoto politico provocato dal colpo di stato del 29 febbraio 2004 con il quale gli USA contribuirono a rovesciare il popolarissimo governo democraticamente eletto del partito Lavalas, rapirono il presidente Aristide e gli proibirono di tornare nei paesi dell’emisfero occidentale. Ho visitato Haiti due volte da allora e ho molti amici  che lottano sotto l’occupazione militare ONU per mantenere vive delle robuste reti di smantellamento della struttura profonda del razzismo, sostenendo la loro dignità di esseri umani che si preoccupano delle proprie comunità.

Una piccolissima parte della popolazione di Haiti è favolosamente ricca, mentre la vasta maggioranza è disperatamente povera. Sin da quando i poveri hanno avuto il coraggio di ribellarsi rompendo i ceppi della schiavitù e del colonialismo 206 anni fa, il governo USA  è stato connivente con i pochi ricchi per mantenere questa enorme diseguaglianza, che in tempi recentissimi ha assunto la forma di abbondante e sicura riserva di mano d’opera a buon mercato per stabilimenti di assemblaggio offshore.

Sotto la guida del presidente Aristide, che fu eletto per due volte, Haiti si è mossa verso un miglioramento della vita dei poveri. Dal tempo del golpe, egli resta esiliato in Sud Africa, pronto a tornare ma impedito dal governo haitiano controllato dagli USA. Perché Aristide è così spesso demonizzato dai presuntuosi esperti dei media? Perché sfida il disprezzo dell’élite haitiana per la gente comune e l’invita a stare spalla a spalla con i neri piuttosto che piegarsi davanti ai bianchi? Perché chiede che ognuno abbia un posto a tavola, compresi poveri, ricchi, neri, mulatti e bianchi?

Ora più che mai, il post-terremoto di Haiti ci impone di smantellare ulteriormente la struttura profonda del razzismo che viola la natura umana, e stare spalla a spalla con i nostri fratelli/sorelle haitiani. A tale scopo dobbiamo insistere che sia accelerata la consegna di materiale vitale di soccorso, che sia cancellato il debito estero di Haiti e che sia dato agli haitiani il necessario per ricostruire il proprio paese a modo loro, che vengano allontanati gli occupanti militari stranieri, che sia tolto il bando elettorale al popolare Lavalas e che sia permesso ad Aristide di ritornare.

E’ ora che i ricchi si mettano in contatto con la propria vera natura umana per una migliore condivisione delle risorse della terra. Dobbiamo costruire nuove strutture che ci uniscano facendo nostro il motto creolo haitiano “tout moun se moun”: “ogni persona è un essere umano”.


COMMENTARY ARCHIVES, 22 Jan 2010 | Marilyn Langlois – Haiti Emergency Relief Fund Board Member, TRANSCEND Convener for USA

Titolo originale: STAND SHOULDER TO SHOULDER WITH THE PEOPLE OF HAITI

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis

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