Un discorso da Premio Nobel di guerra da un presidente di guerra

Johan Galtung

La conferenza d’accettazione del premio Nobel da parte del Presidente Obama a Oslo il 10 dicembre 2009 – Giornata dei Diritti Umani! – ha aggiunto la tragedia alla commedia. E’ stata un Orwell d’annata – la guerra è pace – che ha servito pensieri antiquati di nazioni in cerca di legittimare la propria condotta di guerra, con l’eloquenza e lo charme corrispondenti alle aspettative di molti che speravano in tale persuasione. Un discorso reazionario, che sarebbe più adatto alla laurea in un’accademia di guerra in un paese militarista come gli USA; e un totale travisamento dello scopo del premio Nobel per la Pace, inteso a superare tale genere di mentalità.

Ma sul partito norvegese del complotto predisposto per abusare del premio Nobel al fine di giustificare le tre guerre in cui si sono impantanati gli USA, e l’Occidente in generale, ricade gran parte della vergogna, soprattutto sui due primi ministri NATO, uno dei quali presidente del comitato per l’assegnazione del premio Nobel. Che agissero per salvarsi, come peraltro Obama, e abbiano raccolto il plauso dei soliti sospetti, era ovvio. Auto-lodandosi reciprocamente, del tutto genuino; e terapeutico.

Consideriamo qualche punto, cominciando dalle sue annotazioni molto malinformate sulla nonviolenza di Gandhi e Martin Luther King Jr.

La nonviolenza era la loro tattica, generata da un realismo abbastanza realistico da conoscere la capacità umana di violenza, e un idealismo abbastanza idealistico da conoscere anche la capacità umana per l’amore, la compassione, la ricerca di soluzioni. Il loro obiettivo strategico era la soluzione del conflitto, presentata in modo chiaro e persuasivo come swaraj, libertà dal colonialismo per l’uno, e un sogno d’integrazione di razze per l’altro – il sogno di cui lei, Obama, ammette di essere una parte. Era politica con altri mezzi; brillantemente concepita ed eseguita. I conflitti erano protratti e profondamente radicati. Ma cionondimeno emersero soluzioni che si adattavano relativamente bene a tutti i contendenti, senza molti traumi. Cambiarono le relazioni tra di loro; e così pure i contendenti stessi. Com’è tipico della nonviolenza.

Non funzionerebbe contro Hitler e Al Qaeda, lei proclama. E allora, la fine della guerra fredda, come la caduta della DDR a Lipsia nel 1989, organizzata dalle chiese in nome di Gandhi e M.L.King Jr? Il muro di Berlino cadde un mese dopo, seguito dall’impero Sovietico. La nonviolenza fu un fattore chiave in Polonia e Bulgaria.

Ma non contro Hitler? Liberò ebrei dalla Gestapo a Berlino nel febbraio 1943. Ma per fermare Hitler bisognava risolvere il conflitto soggiacente, soprattutto riguardo al trattato di Versailles. Una conferenza di riesame nel 1924, che modificasse o abrogasse quel trattato molto mal concepito, avrebbe privato Hitler di gran parte del sostegno.

E ciò porta dritti alla pecca fondamentale nella struttura del suo discorso: l’assenza di sforzo per capire l’11 settembre, l’Afghanistan e l’Iraq, aldilà della lotta armata di persone non disposte e deporre le armi. Eppure il premier spagnolo Zapatero è riuscito, quando si è dovuto confrontare con il suo 11 settembre, l’11 marzo 2004, a trattare quattro aspetti del complesso conflitto con il Marocco.

Dov’è la sua analisi del conflitto? Perché pensa che ci fossero molti sauditi negli aerei usati come bombe l’11 settembre? Che cos’avevano fatto gli USA? Come pensa che reagiscano gli afghani a cinque invasioni europee in 150 anni? Come voi: gli USA sono il male, la guerra è necessaria. La sua conferenza conferma quel modo di “pensare”. Essi hanno di che lamentarsi e avrebbero potuto usare la nonviolenza; ma voi siete un esempio del contrario.

C’è del male nel mondo, lei dice dichiarando necessaria qualche guerra. Di nuovo un surrogato al pensare, come se la scienza medica dichiarasse le malattie mali inevitabili, necessari. I suoi ospiti sono ampiamente coinvolti, compresa l’industria delle armi e del petrolio norvegese; come gli USA per le basi, il petrolio e gli oleodotti in Afghanistan e Iraq ben prima dell’11 settembre. Ha usato la parola “guerra” 44 volte (i suoi ospiti negano persino che ci sia una guerra in corso), ma non ha parlato molto di pace. Per toccare i cuori e le menti umane bisogna avere noi stessi queste qualità.

A un certo punto ha detto la verità, quando afferma di non avere una soluzione definitiva al problema della guerra. Nessuno ce l’ha, ma molti suoi colleghi di Nobel ne sono almeno alla ricerca, mentre lei ripiega sulla formula frusta delle “guerre giuste”. Che ne dice delle malattie giuste? O della schiavitù?, del colonialismo? Fortunatamente, alcuni non sono stati fermati da idee medievali di male intrinseco e possessione da satana – pensieri sempre presenti in una mente intensamente orientata allo status quo – e hanno dato quel che meritavano ai mali sociali: una sana liberazione. Lei no.

Lei si appella alla “continua espansione dell’ immaginazione etica” senza offrirne alcuna. Offrendo anzi una propaganda sciovinista di guerra USA. Nemmeno una parola sui quasi 250 interventi militari ovunque nel mondo, compresi quelli in Germania e Giappone i cui fascismi furono promossi sul nascere dal suo paese. Interventi per la libertà? Alcuni, ma generalmente per mantenere una presa USA, in nome dell’ “illuminato auto-interesse”, per affari USA così di parte da richiedere protezione militare. Neppure una parola sulle infrazioni materiali USA al diritto di guerra indicate da lei stesso, eloquentemente, nella sua campagna per un cambiamento in cui possiamo credere. Ma poi lei ha tradito i suoi elettori eludendo una promessa dopo l’altra. Come oggi.

E ora continua a dissanguare la gente della regione, con più perdite di civili afghani e di militari USA che mai, perfino con i droni attivati dalla CIA, che poi a sua volta subappalta a mercenari civili, aldilà di qualunque controllo militare in cui lei sembra credere. Quando invece una soluzione avrebbe potuto essere una Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Asia Centrale, modellata sulla conferenza di Helsinki del 1972-75. E invece lei intensifica la guerra. Come si esprime Toby Keith (cantante americano schierato a favore della guerra, molto apprezzato dai militari, ndt), una parte di questa festa del Nobel, nella canzone Courtesy of the White, Red and Blue: “E ti spiacerà di aver fatto casino con gli USA, perché ti daremo un calcio nel sedere. È il modo americano.” Oh sì, il modo imperiale USA.

Una continuità in cui possiamo credere. E che gran parte del mondo odia.


14.12.09

Titolo originale: A NOBEL WAR PRIZE SPEECH BY A WAR PRESIDENT

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.