Dieci anni della legge regionale veneta sulla pace – Alberto Zangheri

arcolaio.FH11La regione Veneto celebra con convegni e buffet i dieci anni della legge per la promozione della cultura della pace e dei diritti umani, che ne farebbero un ente locale all’avanguardia in questo settore. Mi permetto di non associarmi a queste celebrazioni e di ricordare invece qualche scomoda verità.
La legge di cui si celebra il decennale in realtà sostituì nel 1999 una precedente legge sullo stesso argomento, approvata nel 1988, che nasceva dall’incontro fra alcuni esponenti dei movimenti per la pace e alcuni politici regionali sensibili (all’epoca ne esisteva ancora qualcuno). Tale legge fu approvata con i compromessi fra le varie correnti della partitocrazia tipici dell’epoca. In particolare i dorotei, per approvarla, pretesero che l’archivio regionale sui temi della pace venisse stabilito presso un ente sicuro, cioè il centro per i diritti umani dell’università di Padova. Fu istituito un comitato consultivo per l’attuazione della legge, composto principalmente da rappresentanti di enti e istituzioni culturali che operavano sui temi della pace. Il comitato funzionò in maniera alterna, fortemente condizionato anche dalle spinte clientelari dei vari enti rappresentati, che per lo più erano contemporaneamente percettori di fondi stanziati con la legge stessa e decisori all’interno del comitato stesso. Sicuramente comunque molte furono le iniziative valide finanziate, di cui resta traccia in molte pubblicazioni.

Venne poi il tempo di Mani Pulite e per qualche anno si visse una situazione normale, una di quelle che in Italia non si sono mai verificate. Per un breve periodo l’aspetto fondamentale dei progetti approvati fu la loro validità, non la firma dell’ente proponente o la sua vicinanza ad un qualche settore politico. Ricordo molte delle iniziative finanziate all’epoca, su temi di punta, dalla ricerca per la pace alle guerre jugoslave all’evoluzione del servizio civile.

Con la normalizzazione portata dall’arrivo delle giunte di centrodestra, la legge si trovò ad essere sempre più bersagliata. La prospettiva più logica per una legge di tale genere, su un argomento tanto sovversivo, pareva l’abolizione o la riduzione progressiva dei fondi fino alla loro totale sparizione. Invece, con indubbia intelligenza, il centro destra, anziché mostrarsi reazionario e nemico della pace abolendo la legge, la riformò in modo da renderla adeguata ad una propria visibilità politica in questo settore.

I funzionari regionali che si occupavano della legge furono completamente sostituiti con nuovi dipendenti. Il comitato per la pace e i diritti umani diventò, nella prassi e addirittura nel nome, comitato per i diritti umani (essendo la pace una parola vergognosa); tra i suoi membri entrarono rappresentanti di enti e istituzioni lontanissimi per competenza e sensibilità dai temi trattati; il comitato smise di discutere ed elaborare proposte; il suo compito diventò semplicemente quello di approvare i piani predisposti dagli uffici regionali; in tali piani le attività finanziate praticamente sono affidate quasi tutte ad un unico soggetto, il citato centro diritti umani o sue emanazioni sotto altre denominazioni.

Faccio fatica a ricordare quali siano le attività finanziate negli ultimi anni. Di tutto quello che succede nel mondo o anche solo nel Veneto (dalle guerre alla corsa agli armamenti, dalla costruzione di una base militare delle dimensioni di quella di Vicenza alle novità della ricerca per la pace…) non c’è traccia. Per dir così, si lavora sul lungo periodo, cioè sul nulla; non ci si preoccupa di queste bagatelle. Le attività hanno lo scopo fondamentale di non dare fastidio a nessuno. Non che i diritti umani non siano un argomento serio e importante; però vengono affrontati in modo che si tratti sempre dei diritti umani degli altri, o di quelli su cui siamo tutti d’accordo, che non provocano alcuna discussione o divisione, che non coinvolgono in alcun modo la politica della regione o dello stato italiano; il risultato quindi è la noia, l’ovvietà e convegni che servono solo a far pubblicità al politico di turno ed in cui l’aspetto centrale, non essendoci nulla di serio su cui confrontarsi, è rappresentato dall’immancabile buffet. Procedure decisionali e valutazioni sulla validità dei progetti sono affidati solo all’ente regionale stesso.

Naturalmente non è che io pensi che l’ente pubblico dovrebbe finanziare attività pacifiste o manifestazioni di parte. Quello a cui pensavano a suo tempo coloro che proposero una legge il cui argomento era la cultura di pace era un approfondimento culturale indipendente su questi argomenti, che come si sa è in Italia estremamente carente, anzi, quasi del tutto assente, anche nelle università.

Io stesso ho fatto parte per vari anni del comitato consultivo, con la vecchia e con la nuova legge. Si è sempre lavorato fra spinte molto differenziate, spinte ideali e spinte clientelari. Tuttavia nei primi comitati, quelli della vecchia legge, erano presenti anche persone, provenienti dalle università, dalle istituzioni culturali, dai movimenti, che sapevano di cosa si parlava, che capivano che cosa significava guerra e pace nel mondo d’oggi.

La presenza dei movimenti per la pace era comunque generalmente scarsa e non sempre informata. Purtroppo i movimenti per la pace non hanno mai colto l’importanza di leggi come questa per poter influire sull’operato degli enti pubblici. I movimenti per la pace ed in generale i movimenti di base oscillano nel loro agire fra due estremi: da un lato la protesta di piazza, il no assoluto, magari senza se e senza ma; dall’altro il rivolgersi all’ente pubblico come erogatore di fondi per il proprio convegno o la propria manifestazione (e non sempre in maniera trasparente, ma magari attraverso il contatto personale con l’assessore amico). Invece la politica vera dovrebbe consistere nell’entrare in un contatto costruttivo, attraverso proposte realizzabili, con l’ente pubblico, naturalmente quando questo è possibile, cioè quando dall’altra parte esiste un minimo di disponibilità. Diciamo che il caso di cui ho parlato è un caso in cui non è più possibile.

Alberto Zangheri –  Mir (Movimento Internazionale Riconciliazione), sede di Padova – [email protected]

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