Schizofrenia? – Cinzia Picchioni

cane-uomo-amiciziaIo faccio l’insegnante di yoga. Lo faccio da molti anni, dal 1987.  Prima praticavo yoga e solo dopo 6-7 anni di pratica ho scoperto l’esistenza di yama e niyama, discipline auto-imposte da chi intraprende la strada dello yoga. La prima di queste auto-discipline è ahimsa, nonviolenza. Negli stessi anni ho conosciuto il Centro Studi Sereno Regis e il suo lavoro e mi son detta: «Che bravi ‘sti qua che cercano di applicare la nonviolenza alla vita quotidiana» ed è cominciata allora la mia collaborazione» col Centro. Tuttavia, essendo «allergica» a qualunque tipo di associazione, tessera, appartenenza, non mi sono mai iscritta al Movimento Nonviolento né al Movimento Italiano della Riconciliazione. E l’altro giorno ho forse capito perché. Leggendo le definizioni di «nonviolenza» non ho mai trovato qualcosa del tipo «la nonviolenza è non nuocere ad altri esseri viventi…eccetto i pesci»… http://www.animalstation.it/public/wordpress/?p=2880 Invece quando ho ricevuto la «newsletter» del Centro Studi Sereno Regis non potevo credere ai miei occhi leggendo la riflessione Per chi il pesce un po’ lo mangia… In gran parte la riflessione mi trova d’accordo, ma ciò su cui dissento è  dare consigli per continuare a mangiare pesce ( o carne, perché a questo punto dovremmo consigliare di comperare la carne presso cascine virtuose dove si allevano gli animali con criteri gentili – ma comunque alla fine li si uccidono). Tutto questo discorso potrebbe andare bene se il Centro Studi Sereno Regis non si rifacesse alla nonviolenza. Allora, va bene che risulterebbe una violenza obbligare qualcuno a non mangiare più animali, ma da qui a dare «consigli per l’acquisto» ce ne passa. Per non parlare poi del fatto che i suddetti consigli contengono indicazioni su cui sono a dir poco perplessa: sarebbe meglio che il pesce provenisse dall’Alaska perché nell’Atlantico si sta estinguendo? E il km 0 dove lo mettiamo? E la filiera corta? E il «pensare globalmente, agire localmente»?
Nello stesso giorno in cui leggevo la «newsletter» poi mi è arrivata tra le mani «Azione nonviolenta» (Rivista mensile fondata da Aldo Capitini – vegetariano) che riporta nel suo «sottotitolo»: Rivista mensile del Movimento Nonviolento di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche delle nonviolenza in Italia e nel mondo. È una rivista di cui ci fidiamo? Ciò che c’è scritto ci fa un po’ da guida? È considerato un po’ l’«organo ufficiale» della nonviolenza in Italia? Mi sembra di sì.  Sul numero di questo mese (ottobre 2009) c’è un articolo di 3 pagine che si intitola La scelta morale di un’alimentazione che non comporta sofferenza animale. Naturalmente invito chi non l’avesse fatto a leggerlo, ma soprattutto per me è stato strano trovare nello stesso giorno questo articolo e quella riflessione sulla «newsletter» del Centro Studi sereno Regis. Ecco il perché del titolo di questa mia riflessione. Non capisco perché da una parte leggo
Ma essere vegetariani non è moralmente doveroso solo perché risparmia la sofferenza e l’orrore ad un numero enorme di esseri viventi non umani. Essere vegetariani o vegani (soprattutto vegani) vuol dire affrontare alla radice il problema della mancanza di cibo per gli stessi esseri umani (…) mangiare carne (…) vuol dire (…) contribuire indirettamente alla piaga della fame nei paesi poveri e della devastazione dell’ambiente. Stando così le cose (…) è difficile negare che il vegetarianesimo ed il veganismo siano scelte moralmente doverose.
Il Centro Studi Sereno Regis si occupa di nonviolenza/ambiente/ecologia (non solo, ma i temi principali possono riassumersi così), dunque:
gli animali soffrono quando vengono uccisi (violenza) e io posso far cessare questa sofferenza (vegetarianesimo); l’allevamento animale provoca problemi all’ambiente e io posso contribuire a far cessare questi problemi (vegetarianesimo); la scelta di prodotti locali copre l’aspetto «ecologia».
Dunque non posso essere d’accordo con chi crede che si debbano dare consigli come quelli contenuti nella riflessione da cui sono partita, soprattutto dove cita le parole di Gandhi, perché mi sembra particolarmente giustificante in modo scorretto: «per me mangiare carne è peccato. Tuttavia per un’altra persona che è sempre vissuta mangiando carne e che non ha mai visto in questo niente di male sarebbe peccato smettere di mangiar carne semplicemente per imitare me». Noi possiamo dire di essere persone che hanno sempre mangiato carne? Che non vediamo niente di male in questo (anche oggi che la città è tappezzata di manifesti che ci illustrano i danni degli allevamenti)? Noi non mangiamo carne per imitare Gandhi? No, direi, non possiamo dire di non sapere quanto è dannosa l’alimentazione animale sull’ambiente, sul nostro corpo, sulla nostra psiche e anche sul nostro spirito. Perché non vorrei essere noiosa ma ahimsa (nonviolenza) è «non nuocere a nessun essere vivente, né con le azioni, né con le parole. Anche quando qualcun altro compie una violenza e noi lo approviamo è violenza, anche chiedere a qualcun altro di fare violenza è violenza. Addirittura pensare male di qualcuno è violenza». Forse dobbiamo riflettere di più sulla parola di cui ci riempiamo la bocca alle riunioni, sui testi, sugli statuti. Il simbolo che vedo ovunque è un fucile spezzato, e vale anche per gli arpioni, le reti, i tritacarne che trasformano i pulcini (vivi) in carne trita. Altrimenti perché lavoriamo qui? Perché abbiamo immagini di Gandhi appese ai muri? Perché pubblichiamo una «newsletter»? Basta leggere gli altri giornali se vogliamo sapere come danneggiare meno il mare continuando a mangiare il pesce. Io vorrei trovare una coerenza nella «newsletter» così come l’ho trovata su «Azione nonviolenta», altrimenti perché la leggo? Tutti siamo sul cammino della nonviolenza (perché per praticarla veramente e per dirsi veramente nonviolenti non basta una vita), e quindi è giusto che ognuno vada alla sua velocità senza essere costretto a compiere passi che non si sente (o non è capace) di fare. Ma dal Centro Studi, dalle sue iniziative, dalla sua «newsletter» dovrebbero arrivare delle indicazioni su quali sono i passi, poi ciascuno è libero di compierli o meno. Una volta si chiamava «linea» c’è ancora oppure è troppo violenta? Oppure qualcuno mi vuole spiegare che «essere nonviolenti» riguarda solo i rapporti con gli esseri viventi della stessa specie? Oppure qualcuno mi vuole spiegare che cosa significa appartenere al Movimento Nonviolento? Vuol dire essere nonviolenti solo con gli altri uomini (e donne)? C’è qualcosa (anzi molto) che mi sfugge… aspetto risposte?

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