Nessun gruppo di bianchi in fuga, su una nave, da una catastrofe verrebbe trattato così

John Pilger

Il silenzio australiano ha caratteristiche uniche. Influisce sulla nostra vita nazionale, su come vediamo il mondo, e su come veniamo manipolati dal grande potere che parla tramite un governo invisibile di propaganda che sottomette e limita la nostra immaginazione politica e garantisce che siamo sempre in guerra – contro la nostra stessa popolazione originaria (gli aborigeni, ndt) e coloro che cercano rifugio, o nel paese di qualcun altro: nessun gruppo di bianchi in fuga, su una nave, da una catastrofe verrebbe trattato così

Il luglio scorso Kevin Rudd disse: “È importante per tutti noi qui in Australia che ci si ricordi che l’Afghanistan è stato un terreno d’addestramento per i terroristi a livello mondiale, anche per l’Asia del sudest, rammentandoci le ragioni per cui siamo sui campi di battaglia e riaffermando il nostro proposito di restare impegnati in tale causa.’”

Non c’è verità in questa dichiarazione. E’ l’equivalente della bugia di John Howard che Saddam Hussein avesse armi di distruzione di massa. Rudd era davanti a una chiesa una domenica quando disse questo. Nessun reporter lo contraddisse. Nessuno disse: “Primo Ministro, non c’è una guerra al terrorismo. E’ una montatura. Ma c’è una guerra del terrorismo da parte dei governi, fra i quali l’australiano, in nostro nome.”

Oltre un secolo fa, Lord Curzon, viceré d’India, scrisse:

“Confesso che i paesi sono pezzi di una scacchiera su cui si gioca una grande partita per la dominazione del mondo.”

I giovani che si avvolgono nelle bandiere a Gallipoli ogni aprile si rendono conto che solo le bugie sono cambiate? Come la conferenza stampa di Kevin Rudd gestita dallo stato davanti alla sua chiesa, i simboli di Anzac (Comunità australo-neozelandese, ndt) sono costantemente manipolati in tal modo. Marce. Medaglie. Bandiere. Il dolore della famiglia di un soldato caduto. Servire da militare, dice il Primo Ministro, è la vocazione più alta dell’Australia. Lo squallore della guerra, l’uccisione di civili, non ha riferimenti in questa superiore vocazione. Ciò che importa è l’illusione.

Il fine è assicurarsi la nostra silenziosa complicità in una guerra di terrore e in un massiccio aumento dell’arsenale militare australiano, come richiede il recente libro bianco. Il governo Rudd e il Pentagono hannlanciato una gara per la costruzione di robot militari che, si dice, faranno il “lavoro sporco dell’esercito” in “zone di combattimento urbane”. Quali zone di combattimento urbane? Che sporco lavoro? Silenzio.
In un saggio per The Monthly intitolato Fede nella politica, Kevin Rudd scrisse questo riguardo ai profughi: ”L’ingiunzione biblica di curarsi del forestiero fra noi è chiara. La parabola del Buon Samaritano è una delle varie che trattano come dovremmo reagire a un forestiero vulnerabile fra noi…

Non dovremmo mai dimenticare che la ragione per cui abbiamo una convenzione ONU sulla protezione dei profughi è in buona parte dovuta all’orrore dell’Olocausto allorché l’Occidente (Australia compresa) voltò le spalle agli ebrei dell’Europa occupata che cercavano asilo.”

Confrontatelo con le parole di Rudd dell’altro giorno:

”Non mi scuso per nulla per aver assunto una linea dura sull’immigrazione illegale in Australia …”

Non siamo nauseati da questo tipo d’ipocrisia? L’uso del termine ”immigranti illegali” è sia falso che vile. Le poche persone che lottano per raggiungere i nostri lidi non sono illegali. Il diritto internazionale è chiaro – sono legali. Che ironia; la gente in quei battelli sfondati dimostra il tipo di coraggio che si dice gli australiani ammirino.

Eppure Rudd, come Howard, gli manda contro la marina e gestisce quello che effettivamente è un campo di concentramento su Christmas Island. Proviamo a immaginare se un carico di bianchi che sfuggano a una catastrofe verrebbero trattati così. Nessuna soluzione indonesiana per loro.

Uno dei lavori che preferisco di Harold Pinter è Party Time (Ora di festa). Si svolge in un appartamento di una città come Sydney o Melbourne. E’ in corso una festa. Si beve del buon vino e si mangiano canapé. Sembrano felici. Chiacchierano e confermano e sorridono. Sono molto consci di sé. Ma sta succedendo qualcosa fuori per strada, qualcosa di terribile e oppressivo e ingiusto, per cui le persone alla festa hanno parte di responsabilità.

Nessun gruppo di bianchi in fuga

C’è un fugace senso di disagio, un silenzio, prima che riprendano le chiacchiere e le risa. Quanti di noi vivono in quell’appartamento? Una mia amica è la bravissima giornalista israeliana Amira Hass. E’ andata a Gaza ad abitare e riferire al suo giornale, Ha’aretz. Spiegava che sua madre, Hannah, stava venendo trasferita a piedi da un treno per bestiame al campo di concentramento nazista di Bergen-Belsen quando vide un gruppo di donne tedesche che guardavano i prigionieri, li guardavano solo senza dire nulla. Sua madre non dimenticò mai questo che chiamava spregevole “sguardo di fianco”.

Le sofferenze della gente assediata di Gaza e della gente comune afghana e di quella irakena, al cui rapace invasore, generale David Petraeus, è stata conferita una delle maggiori onorificenze australiane a Washington mercoledì, tutto ciò ci porta alla domanda: dobbiamo continuare a ”guardare di fianco”, in silenzio?

Nel corso della mia vita, l’Australia è diventata uno dei luoghi culturalmente più diversificati sulla terra, e la cosa è avvenuta pacificamente, nell’insieme.

È una conquista notevole – finché non cerchiamo coloro la cui civiltà australiana è stata raramente riconosciuta, il cui genio di sopravvivenza e generosità e perdono sono stati una rara fonte d’orgoglio.

Credo che la chiave al nostro auto-rispetto nazionale e la nostra eredità alle future generazioni sia l’inclusione, mediante trattato, e la riparazione per i Primi Australiani, e la più ampia comprensione della giustizia come un diritto applicabile a tutti gli esseri umani, indifferentemente da chi siano. Solo allora potremo sentire un orgoglio che non proviene dalle bandiere e dalla guerra e dal silenzio.


09 novembre 2009

Un estratto elaborato da ‘Breaking the Australian Silence, the City of Sydney Peace Prize Lecture’ (Rompere il silenzio australiano – Conferenza per il conferimento del Premio per la Pace della Città di Sydney), tenuta dal vincitore di quest’anno, il giornalista e cineasta John Pilger all’Opera House di Sydney, giovedì 5 novembre 2009.


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