Il premio del lancio della scarpa

Robert C. Koehler

E il premio del “lancio della scarpa” va a….

“Gli affari esistono per servire il benessere generale. Il profitto è il mezzo, non il fine. E’ la gratifica che un’azienda riceve per il servizio al benessere generale. Quando un’azienda manca di servire il benessere generale, perde il diritto a esistere.”

Le parole di Adam Smith di cautela per il capitalismo, notoriamente dimenticate, valgono anche per il giornalismo? E’ per questo che passando al chiosco dei giornali di questi tempi vedo i due grandi quotidiani della mia città lì come anoressici gemelli, mendicare (voglio dire adulare) per mesi e mesi?

Ispirandomi al professore di giornalismo dell’università del Texas, Robert Jensen, che ha scritto un manifesto col quale sprona le scuole di giornalismo a ridiventare di rilievo, mi accorgo che è arrivato il momento di impegnarmi nell’immaginare il futuro della mia amata professione agonizzante.

Che genere di giornali emergeranno o dovrebbero emergere dal naufragio odierno degli imperi che stanno crollando? Quali principi dovrebbero possedere, che abbiano il meglio della vecchia tradizione — equità, precisione, lingua scevra di gerghi, impavidità nella ricerca della verità ovunque possa condurre — e al tempo stesso superare quella tradizione dando vita a una rilevanza cruciale, in effetti spirituale, per il mondo d’oggi ben più pericoloso e complesso?

Un compito non da poco – smuovere queste grandi entità dalle proprie certezze ciniche e dalla dedizione agli interessi speciali del denaro e del potere. Cosa possono cominciare a fare i quotidiani per servire più efficacemente il benessere generale di quanto facciano adesso? Ci vorrà del coraggio da parte dei giornalisti a ogni livello: reporter, redattori, dirigenti.

“Le migliori tradizioni del giornalismo si basano sulla resistenza alle strutture illegittime d’autorità al cuore dei nostri problemi” scrive Jensen a Common Dreams (“Possono aver rilevanza le scuole di giornalismo in un mondo sul bordo del precipizio?”). “…i giornalisti più considerati hanno avuto il coraggio di prendere posizione per la gente comune e contro arroganti concentrazioni di potere.”

E il premio del “lancio della scarpa” va a ….

Le parole di Jensen mi hanno fatto immediatamente pensare a Muntadhar al-Zeidi, il reporter della TV Al-Baghdadiya che ha lanciato le sue scarpe a George Bush nel corso di una conferenza stampa durante la visita finale in Iraq del presidente, lo scorso dicembre. Al-Zeidi, rilasciato di prigione pochi giorni fa, ha dichiarato: “Eccomi, libero, ma il mio paese rimane prigioniero.”

Suppongo che tecnicamente delle scarpe lanciate non valgano come giornalismo, ma stabiliscono uno standard al coraggio di dire la verità al potere. Uomini e donne della stampa, uscitevene e fate lo stesso con i vostri computer portatili e videocamere! Quelle scarpe volanti si stagliano certamente in contrasto con la timidezza dei reporter della maggioranza culturale da queste parti, che si pongono a fianco del potere nell’equazione della guerra e che, con poche eccezioni di rilievo, non hanno esercitato alcuna indipendenza dalla Casa Bianca di Bush e dalle menzogne che hanno reso la guerra al terrorismo, e le conseguenti sofferenze di afghani e irakeni, un fatto compiuto.

Ma coraggio e passione sono solo il punto di partenza se dobbiamo ricostituire – re-inventare – i media. Ecco alcuni altri principi che ritengo cruciale vengano assunti da media rivitalizzati:

1. Come nota Jensen, i grandi eroi e modelli di ruolo del giornalismo presero posizione per la gente comune. Io andrei oltre: non si tratta solo di questione politica, un’esigenza di giustizia o di correzione; prendere posizione per la “gente comune” vuol dire prima di tutto ascoltarla – scavare, riferendone, fino a scovarne il nucleo delle loro speranze – e celebrarne la vita. Quando iniziai la mia carriera da reporter, la mia prima grossa sorpresa fu il moto di gratitudine che sentivo dalla gente semplicemente per averla ascoltata.

2. Un mezzo di comunicazione reinventato deve imparare come raccontare storie complesse, in modo semplice e attraente. Ciò richiede di riorientarsi verso la verità anziché al minimo comune denominatore giornalistico: agitare le paure, adulare le celebrità e altre forme di insipienza che non hanno fatto altro che peggiorare ultimamente con la crescente disperata ricerca di profitti rapidi e poco impegnativi dei vacillanti imperi mediatici.

3. I media devono diventare adulti. I reporter devono smettere di proporre una narrazione del tipo buono-cattivo, vincitore-perdente, che non spiega nulla, giustifica tutto e alimenta solo lo status quo monetizzato. Il mio amico Jake Lynch, giornalista australiano e direttore del Centro Studi su Pace e Conflitto all’Università di Sydney, parla di “giornalismo di pace”: un giornalismo che bada a tutti i lati di un conflitto, esamina tutte le conseguenze della violenza militare, e si chiede il “perché” di una storia al di là delle fonti ufficiali (di solito anonime) che trasformano gran parte dei reportage di guerra in propaganda.

4. I media devono espandere i propri orizzonti e trovare fonti di informazione indipendenti dagli “esperti” che spesso invece citano per evitare di dire alcunché. Devono cercare di capire e imparare a scrivere delle notizie reali che la gente desidera, talvolta inconsapevolmente. Queste sono le notizie che riguardano il processo di guarigione sociale e ambientale. Al momento, i media non riconoscono neppure il processo di guarigione come notizia, senza il quale tuttavia non abbiamo futuro.

Il premio del lancio della scarpa


28 settembre 2009

Titolo originale: THE TOSSED SHOE AWARD

Traduzione italiana a cura di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis