Ancora su Mendes, Pilger e la “Terra palestinese”

Jake Lynch

Philip Mendes rivendica nei confronti di TMS di essere lui stesso un sostenitore di una “soluzione a due stati” e che in confronto John Pilger è “un estremista della linea dura [i cui] scritti pubblici fanno pensare tutti a una posizione favorevole alla dissoluzione dell’attuale stato d’Israele, e alla sua sostituzione con uno stato arabo di una Grande Palestina”. Il che è in effetti tipico della distorsione degli scritti di Pilger dell’armamentario di Mendes: platealmente contraddetto, per esempio, dall’aggancio visuale conclusivo nello scritto pubblico più noto di Pilger in argomento, il documentario vincitore del premio BAFTA Palestine Is Still The Issue (2002):

“Gli israeliani non avranno mai pace fino a quando non riconosceranno che i palestinesi hanno lo stesso diritto alla stessa pace e alla stessa indipendenza di cui essi godono. L’occupazione della Palestina dovrebbe finire adesso. Allora, la soluzione è chiara. Due paesi, Israele e Palestina, che non dominano né minacciano l’un l’altro”.

Prima, nel film, Pilger chiarisce che l’indipendenza della Palestina vuol dire uno stato che comprenda Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, territori occupati dal 1967:
“[L’istituzione dello Stato d’Israele] è costata ai Palestinesi il 78% del proprio paese. Oggi, essi cercano solo il rimanente 22% della loro patria. Che da 35 anni è dominata da Israele”.

A sostegno delle sue asserzioni, Mendes ribatte su un articolo di Pilger del 2007 sulla rivista New Statesman, che riporta l’opinione dello storico Ilan Pappé, che “un singolo stato democratico cui sia dato il diritto di ritorno ai profughi palestinesi è la sola soluzione fattibile e giusta, e che una campagna di sanzioni e boicottaggio è cruciale per arrivare a questo… Un boicottaggio delle istituzioni, delle merci e dei servizi israeliani, dice Pappé, ‘non cambierà la posizione [israeliana] in un giorno, ma manderà un chiaro messaggio che [le premesse del sionismo] sono razziste e inaccettabili nel XXI secolo … Dovrebbero scegliere’. E così pure noi”.

Questo, dice Mendes, prova che Pilger ha adottato una “prospettiva fondamentalista anti-sionista… che sta al di là del dibattito razionale e non ha rapporto con la realtà contemporanea o storica”. Mendes non è un autore specialista di media, nonostante le sue rivendicazioni, e mostra per cominciare qualche confusione sul ruolo del giornalismo. Ci sono buone ragione perché un giornalista che scrivesse nel 2007 riportasse le opinioni di Ilan Pappé, e perché un giornalista di tradizione impegnata come Pilger le raccomandasse alla nostra attenzione. Il che non è proprio la stessa cosa che farle proprie, cosa su cui non ci si dovrebbe confondere.

Il punto sostanziale è che l’istituzione di una piena autorità statuale palestinese su Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza è stata considerata come il fulcro di un piano per l’esercizio del diritto di ritorno da parte dei profughi – la gente scacciata dalla pulizia etnica del 1948, e i loro discendenti, ormai milioni (una realtà storica e contemporanea, senza dubbio, sebbene non meriti alcuna menzione nell’articolo di Mendes). Un ritorno ‘simbolico’ da parte di un numero ben minore alle loro case effettive in Israele, insieme alla creazione di uno stato indipendente per tutti gli altri, potrebbe offrire una forma di giustizia per i torti subiti, e qualcosa che dovrebbe essere accettabile anche agli israeliani.

Un rapporto dell’International Crisis Group del 2004 contiene questo punto:

“I palestinesi valuteranno qualunque soluzione globale come una trattativa e verrà facilitato un compromesso sulla questione dei profughi se i bisogni essenziali verranno soddisfatti anche altrove. Ciononostante, la centralità della tematica dei profughi per l’identità e la politica palestinese comporta che una soluzione che non soddisfi esigenze minime — in particolare una qualche forma di riconoscimento di responsabilità da parte di Israele – verrebbe probabilmente ritenuta illegittima sia dai profughi che da coloro che non lo sono”.

La continua espansione e l’arroccamento del territorio carpito nelle zone occupate sta tuttavia rendendo, nell’opinione di molti osservatori, una prospettiva più lontana quella di una soluzione a due stati, secondo quanto Annabel McGoldrick e io abbiamo sentito in interviste risalenti sino al 2003 per il nostro film, News from the Holy Land [Notizie dalla Terra Santa]. I ‘fatti sul terreno’ effettivamente, quindi, riaprono la questione di come i profughi potranno esercitare i propri diritti, ed è in tale contesto che si sta dibattendo una soluzione al conflitto in un singolo stato, da parte di Pappé e molti altri.

Cosa che sicuramente un giornalista ha diritto di riferire senza per questo essere definito un “fondamentalista”. Attribuire una tale etichetta è contribuire – senza dubbio non intenzionalmente in questo caso – allo sconcertante assottigliarsi del dibattito in Australia, emblematizzato dai bandi ai gruppi studenteschi e dalla direttiva SBS.

SBS e BBC

E’ frattanto emerso che la stessa questione sulla quale è stato chiesto all’Ombudsman SBS, Sally Begbie, di entrare nel merito era stata posta alla BBC ben cinque anni prima, ottenendo una risposta di tipo contrario. Nel sito web della BBC si dice:

“I direttori della BBC hanno preso in considerazione questa tematica a proposito di una lamentela riportata nell’apposito registro sui programmi del luglio 2004. La loro decisione fu che, benché si obiettasse all’uso di riferimenti quali ‘terra palestinese’ e ‘terra araba’, tali termini riflettevano appropriatamente il linguaggio delle risoluzioni ONU”.

Nel mio reclamo a Begbie, per protestare contro la sua direttiva, chiedo quale opinione esperta abbia consultato, prima di prendere la sua decisione – sarebbe molto arduo trovare qualunque esperto in diritto internazionale, relazioni internazionali o nel mio campo di studio su pace e conflitti che assuma una posizione diversa da quella dei direttori della BBC. Mi permetto anche una raccomandazione:

“Ci sono alcuni, principalmente nella destra politica israeliana, che disputano il fatto che questi territori siano terra palestinese. E’ il caso che vengano trattati dai vostri giornalisti alla stessa stregua di coloro che negano sia in atto un riscaldamento globale antropogenico? Vale a dire, riferire occasionalmente la loro opinione cercando di spiegarci perché la pensino così, sottolineando però che il consenso consolidato dell’opinione dei periti internazionali si situa sull’altro versante. Per tutti gli scopi normali, la proprietà legittima palestinese di quei territori può essere riferita come un dato di fatto – come il cambiamento climatico”.

Almeno ci può confortare l’abbondanza di opportunità odierne (come TMS) di andare oltre i discorsi politici e mediatici ufficiali e trarre le nostre conclusioni. Ci sono indizi secondo cui molti fanno proprio così: un recente sondaggio d’opinione della Roy Morgan Research, commissionato dalla Coalition for Justice and Peace in Palestine di Sydney, ha chiesto a 636 australiani se abbiano più simpatia per gli israeliani o i palestinesi. Nonostante la partigianeria pro-Israele politica e mediatica nel rappresentare il conflitto, il 28.0% ha detto per i palestinesi, 25.0% per nessuno dei due e 24.5% per gli israeliani; 23% non ha saputo pronunciarsi.

Alla domanda se fossero al corrente degli avvenimenti del gennaio scorso riguardanti la campagna militare su Gaza, 38.0% ha risposto di saperne “molto” o “un bel po’”, 61.0% di non saperne granché o “nulla” e solo 1.0% non si è pronunciato.    Interessante che del 38% di coloro che ritenevano di saperne parecchio, ben il 44.5% abbia espresso simpatia per i palestinesi rispetto al 29.5% di simpatizzanti israeliani.

Un 42.0% degli australiani trovava le azioni israeliane a Gaza “non giustificate” a fronte di un 29.0% che le trovava “giustificate”. Il resto ha detto di “non sapersi pronunciare”.
Tocca a tutti noi scovare l’informazione, le prospettive e le versioni di avvenimenti soggiogati e soppressi nella sfera pubblica. Ecco perché è così apprezzabile l’attribuzione del Premio della Pace di Sydney a John Pilger – è cioè uno strumento nelle nostre mani per riaprire il dibattito pubblico su questo e altri temi, e ricacciare la mano morta della censura.


COMMENTARY ARCHIVES, 19 Sep 2009 | Jake Lynch

Titolo originale: MORE ON MENDES, PILGER AND “PALESTINIAN LAND”

Traduzione italiana a cura di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis