Cinema – Treeless Mountain – Recensione di Laura Operti

TREELESS MOUNTAIN (LA MONTAGNA SENZA ALBERO) di So Yong Kim , 2008, Sud Corea-Usa, ’89.

L’Alba Internazional Film Festival INFINITY per l’ottava edizione che si è svolta a Alba dal 17 al 22 marzo, ha ancora una volta magistralmente indagato col cinema gli elementi complessi della spiritualità presenti nell’esperienza umana più profonda e intima. I film provengono da più parti del mondo e quelli in concorso sono di registi alla prima o alla seconda prova.
Molti sono i bambini e le bambine protagonisti di storie belle e tristi che vengono raccontate con  immagini meravigliose. Fra tutte ne ricordiamo una che viene dall’oriente.

Jin e Bin sono due sorelline sudcoreane che vivono a Seul con la madre. Giocano con altri bambini e sembrano serene, pur nella povertà. Il papà non c’è. Un giorno la madre le porta fuori città da una zia e, se pur promette di tornare a prenderle, le abbandona. I due faccini diventano sempre più tristi, mentre con la zia la vita è molto dura, perché questa donna non le vuole, non può badare a loro, perché non riesce neanche a badare a se stessa, persa nell’alcol. Le due piccole mantengono la loro dignità, i vestiti, sempre più stazzonati, sono ancora graziosi, soprattutto quello di Bin che ricorda, come un costume,  quello di una principessina. Ma hanno fame, hanno freddo, confidano solo in un maialino-salvadanaio che si sta svuotando, e nei tanti espedienti dei bimbi per sopravvivere. Hanno visto partire la mamma con l’autobus da una montagnola spoglia. Qui tornano spesso e piantano rami secchi: questo luogo diventa la loro Treeless mountain, luogo di muta desolazione. Sembra che la situazione precipiti in un tragico epilogo, finché la zia, stanca di loro e insofferente, decide di portarle dai nonni in campagna. Qui, anche se non c’è quell’affetto, quella cura che i bambini meriterebbero, il rapporto con le persone cambia. Si ritorna a una quotidianeità fatta di cose semplici e lievemente protettive, a una parvenza di famiglia. La nonna le porta con sé in piccoli lavori nei campi, le nutre decentemente, racconta loro delle storielle e così le bambine tornano a sorridere e infine intonano un canto, perché la vita ha il sopravvento.
È una delle tante piccole vicende umane, rappresentata attraverso un’eccezionale limpidezza di sguardo, dove s’incontra un’ infanzia ferita che non vorremmo esistesse.
Nessun attore professionista, piccolo budget, per mostrarci il volto tenero e insieme sconvolgente della realtà.

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