La potenza della nonviolenza – Intervista a Pat Patfoort – Daniele Quattrocchi

Dopo alcuni scambi di mail e qualche telefonata sono andato a Torino per conoscere e intervistare Pat Patfoort.

Ma chi è Pat Patfoort? Il suo sito riporta:  antropologa fiamminga belga (nata nel 1949), saggista, docente, trainer e mediatrice nel campo della Trasformazione e della Gestione Nonviolenta del Conflitto.
Una definizione abbastanza complicata ma che rende l’idea delle innumerevoli attività che svolge questa gentile e tenace signora.
Un’instancabile azione destinata a promuovere la pratica della nonviolenza a tutti i livelli: dall’educazione con i bambini  fino alla riconciliazione delle etnie del Rwanda, dai laboratori con i detenuti ai corsi di specializzazione per studenti universitari.

Un lavoro umile e poco conosciuto che Pat svolge presso il centro “De Vuurbloem” (“Il Fiore di Fuoco”) a Brugge, in Belgio e in diversi paesi d’Europa.
E’ autrice di diversi libri, tradotti in varie lingue. In italiano:
Un’introduzione alla nonviolenza. Presentazione di uno schema di ragionamento,
Costruire la nonviolenza. Per una pedagogia dei conflitti.
Io voglio, tu non vuoi. Manuale di educazione nonviolenta.
Difendersi senza aggredire. Il potere della nonviolenza.

Il 23 giugno Pat è ospite di un’amica torinese, tra poco si godrà delle meritate vacanze dopo il suo consueto tour annuale di conferenze, seminari e incontri in giro per l’Italia.
Mi accoglie sorridente, il suo aspetto è molto più giovanile di come appare nelle poche foto che ho scovato su internet. Parla molto bene l’italiano anche se preferisce il francese o l’inglese quando si comincia ad approfondire qualche discorso che l’appassiona.
Non faccio in tempo a accettare l’offerta del caffè che mi invita a iniziare subito il nostro colloquio “perché abbiamo molto da fare”.
In effetti per le successive due ore saremo completamente assorbiti dai temi legati alla situazione internazionale, a Obama, al suo appoggio alla Marcia Mondiale, alle proposte sull’educazione nonviolenta.

Inizia raccontandomi di come ha iniziato a occuparsi della nonviolenza.
Questa “amore” è cominciato prima della nascita del figlio maggiore (che ora ha più di trent’anni) in Mauritania, sentendo la necessità di avere strumenti utili per l’educazione.
La sua formazione è stata segnata dai numerosi contatti con le associazioni gandhiane fondate da Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, nonchè dalle idee religiose e dalla lunga permanenza (otto anni) in Africa Occidentale.
Pat dichiara di non aderire formalmente a nessun gruppo con cui ha lavorato, semmai si considera vicina al movimento religioso dei Quaccheri.
Crede che la pratica quotidiana della nonviolenza sia essenziale aldilà delle posizioni ideologiche.
Mi dice: “la gente di solito pensa che i conflitti non siano un problema, cercano di nasconderli per anni finchè non è troppo tardi e allora vengono da me”, “sarebbe molto più facile per tutti fare della prevenzione…”. “Non è difficile gestire i conflitti in maniera costruttiva ma la difficoltà è arrivare a ciò, cioè cambiare dei modelli scorretti di comportamento che abbiamo, in particolare legati alla comunicazione. E’ un lavoro molto piacevole perché dà dei risultati miracolosi”. “nella gestione nonviolenta dei conflitti ci sono molte cose che sembrano impossibili che diventano possibili”.

Come funziona sinteticamente il tuo metodo?
Normalmente per una sintesi ho bisogno di un’ora e un quarto ma capisco che ne vuoi una un po’ più breve… Utilizzo dei modelli che sono il risultato dell’esperienza personale e che sono stati sperimentati in tanti ambiti diversi. Il modello a cui ci riferiamo di solito è il modello maggiore-minore, cioè quello dove una parte ha ragione e l’altra ha torto, dove uno è migliore di un altro o più bello o più intelligente. Anche se non si utilizza coscientemente questo schema esistono delle parole che ci dividono in queste due categorie.
Giudichiamo qualcuno perché non sa delle cose che noi sappiamo, ecc.
E’ qualcosa che si da per scontato e, per la maggior parte del tempo si pensa che non ci sia una modalità alternativa. Il modello che propongo invece è quello dell’equivalenza, che non significa uguaglianza come potrebbe sembrare ma, detto in poche parole, è accettare l’altro così com’è, comprendere totalmente il suo punto di vista (anche se è completamente differente dal nostro) senza giudicare ed essere capaci di comunicare le proprie necessità all’altro senza ferirlo. In sintesi questo per me rappresenta l’amore per gli altri. E’ incredibile che diciamo di amare il partner, i figli, i genitori ma spesso li mettiamo in posizione minore.

Cosa pensi della situazione internazionale e del pericolo delle armi nucleari?
Le armi nucleari sono lo strumento più terrificante del modello maggiore-minore. Quelli che parlano o pensano di utilizzarle non sono veramente coscienti di cosa significhi. Io lavoro spesso con i detenuti, con delle persone che hanno ucciso qualcuno. Quando hai ucciso qualcuno, ed hai avuto il suo sangue nelle tue mani, solo in quel momento ti rendi conto veramente di cosa vuol dire uccidere…
Mi ricordo un giorno di una conversazione che ebbi con mio figlio, quando aveva 12 o 13 anni. Voleva un fucile per il suo compleanno. Gli spiegai che per me era impossibile regalarglielo anche se era solo un gioco perché si trattava di un simbolo di una cosa terribile. Pensare a uccidere per gioco mi faceva comunque troppo male. Egli insistette comunque per comprarlo e glielo lascia fare con i suoi soldi. Non lo forzai a desistere ma la mia posizione era netta e chiara per lui.

Cosa pensi di Obama e della nuova amministrazione statunitense?
Penso che Obama rappresenti un bel passo in avanti. Ha espresso molte buone intenzioni che non sono rimaste solo sulla carta, basti solo l’esempio della dismissione del carcere di Gauntanamo. Sappiamo che non è affatto facile e lui ha il coraggio di prendere delle decisioni difficili. Non lo rimproverei se vedessi che non realizza subito tutto ciò che ha promesso. Qualche volta gli capiterà di retrocedere perché si renderà conto di aver osato troppo. Ma non voglio rimproverarlo per questo. A volte può essere saggio non voler fare tutto subito. La nonviolenza spesso è anche capacità di aver pazienza. Non una pazienza passiva, bensì attiva.

Il 2 ottobre 2009 partirà la Marcia Mondiale per la Pace e la nonviolenza, che tipo di effetto pensi possa produrre?
Naturalmente dipenderà da come verrà effettuata, da quanto spazio avrà sui media, da quante personalità la sosterranno. In ogni caso è un simbolo molto buono che può indurre molta gente a riflettere.
Inoltre è molto importante che alla Marcia sia collegata un certo tipo di pratica come, mi sembra, state cercando di fare.
Più si riuscirà farlo e maggiore sarà l’impatto sulle persone.

Sempre a ottobre verrai a Milano per un progetto sull’educazione nonviolenta nelle scuole, ce ne puoi parlare meglio?
Cominciamo dall’educazione. Si tratta di non mettere il bambino in posizione minore e neanche in quella maggiore. Nel primo caso si dovrebbe parlare al bambino in modo “rispettoso”, cioè: rispettarlo per quello che è, ascoltarlo in modo veramente aperto e interessato.
Da ciò emergono le soluzioni nonviolente tra l’adulto e il bambino.
Nel secondo caso si dovrebbe riuscire a esprimere bene le necessità dell’adulto in modo coerente, non come quando si dice “non devi fare così”, poi il bambino piange  e allora glielo si lascia fare. Bisogna spiegare le motivazioni del divieto, ascoltare quelle del bambino (che invece lo vuole fare) e costruire una soluzione che tenga conto di entrambe le posizioni. Questa è un’immagine dell’educazione nonviolenta.
Non è un’educazione in cui si lascia il bambino libero di fare quello che vuole.
Riguardo il lavoro con le scuole è molto importante connettersi soprattutto con gli insegnanti. Altrimenti può capitare di lavorare con l’equivalenza con i piccoli e poi l’insegnante vanifica tutto perché arriva e impone qualcosa senza rispettare gli altri. Lo capisco perché lo si fa come un’abitudine.
Con i bambini nelle scuole si possono fare molti giochi e esercizi e loro riconoscono molto bene il meccanismo del maggiore-minore. Per esempio una modalità molto frequente tra loro è l’escalation, cioè quando ognuno, a turno, cerca di predominare sull’altro. E’ un meccanismo che loro apprendono molto frequentemente dai genitori. E’ chiaro come sia molto importante cominciare il lavoro dell’equivalenza con gli adulti in modo da offrire un modello chiaro ai bambini.
Non è mai troppo presto per cominciare, per esempio mi ricordo di due gemelle che non avevano neanche un anno. Erano state messe a confronto tra loro. Erano tutte e due attive ma in una maniera molto diversa. Una già camminava e si muoveva ovunque, l’altra, invece, non era interessata a camminare, ma osservava tutto. Allora una persona che utilizzava lo schema maggiore-minore ha definito la prima attiva e l’altra passiva. Parlava con la seconda dicendo: “guarda tua sorella! Lei ha già iniziato a camminare. Sarà meglio che ti svegli un po’! Questa persona stava già trasmettendo il modello maggiore-minore. I bambini assorbono tutto questo.

Cosa pensi delle nuove generazioni e di quello che potranno fare in futuro?
Le nuove generazioni sono diverse dalle precedenti, nè meglio nè peggio. Semplicemente differenti. Hanno una responsabilità verso il futuro come gli adulti.
Per i giovani d’oggi non è facile. E’ chiaro che tutti vogliono essere accettati all’interno del gruppo. Spesso la difficoltà per chi si sente diverso, e quindi giudicato e messo in posizione minore, è cercare di adeguarsi alla maggioranza.
Allora cosa deve fare per essere come gli altri? Intorno a loro è pieno di cose violente e nocive.
Quello che si può fare e aiutarli a prendere coscienza di quello che vogliono veramente, in modo che scelgano consapevolmente. Dovranno costruire la loro forza interiore.
Gli adulti possono aiutarli dando loro fiducia, accettandoli per quello che sono.
Maggiore fiducia i giovani acquisteranno in loro stessi e più riusciranno a resistere alle pressioni e alle influenze negative. Avendo i genitori dalla loro parte si sentiranno più forti. Questo dipenderà soprattutto dalla comunicazione, iniziando ad ascoltare veramente i giovani senza fargli continuamente la lezione. Naturalmente gli adulti hanno anche il dovere di esprimere le prorie idee e sentimenti ma senza metterle al di sopra di quelle dei giovani.
Allora ci sarà un ascolto nei due sensi. Se noi ascoltiamo i giovani, anche loro lo fanno. Anche se questo può non succedere da subito.

Il video integrale dell’intervista (28 min) lo trovate qui:
http://www.vimeo.com/5333671

Daniele Quattrocchi fa parte del Comitato Scuole Milano per la Marcia Mondiale