La pirateria e la Somalia – Johan Galtung

Cominciamo dalla conclusione: la problematica pirateria — nel 2008, 40 attacchi riusciti su 100; nel 2009 finora 25, 18 navi con circa 310 marinai detenuti, riscatto medio 2-3 milioni $ — può essere risolta ma solo se trattata come parte di tutto il complesso Somalia. Tuttavia USA e UE considerano la pirateria separatamente come crimine da combattere, scoraggiare e prevenire mediante l’operazione UE “NAVFOR Atalanta”, uccidendo, portandoli in tribunale, sperando che la prevenzione individuale e generale fermerà il “banditismo” (c’è anche quell’elemento). Le marine di 24 paesi sorvegliano 2 milioni di kmq.
La pirateria è un crimine, naturalmente. Ma lo sono anche:
* il derubare i pescatori somali del loro lavoro, privare i somali di alimenti essenziali e la Somalia dell’esportazione di tonno-gamberetti-aragoste con la pesca industriale illegale da parte di 220 navi prevalentemente di paesi europei=cristiani, come Danimarca e Spagna;
* buttare in terra e mare rifiuti tossici, eventualmente anche nucleari, approfittando degli aspetti di stato fallimentare della Somalia dal 1991;
* pagare l’Etiopia cristiana, nemica della Somalia per la questione Ogaden, per invaderla nel 2006-8 e uccidere 10.000 persone per “restaurare l’ordine”, che pure esisteva sotto l’Unione Somala delle Corti Islamiche.
Niente protezione navale UE per i mezzi di sostentamento somali dalla pirateria, niente proteste, neanche contro l’invasione USA del 1992-94 per gli interessi petrolieri accordati da Mohamed Siad Barre, rovesciato da Mohamed Aidid, bersaglio principale dell’invasione; col pretesto della fame endemica.
Da un punto di vista USA-UE l’attuale approccio militare alla pirateria è auto-difesa per navi, equipaggi e carichi. Ma da un punto di vista somalo la pirateria è anch’essa auto-difesa:
* dare una lezione (principalmente) ai paesi occidentali, nota anche come vendetta;
* ricavare una compensazione per le perdite della pesca e altri danni;
* finanziare la ricostruzione della Somalia e altre forme di auto-difesa.
Più realistica dell’”auto-difesa” è la “guerra”, con i contendenti che usano le tattiche a loro disposizione. Si può discutere su quando sia iniziata. Ma l’invasione etiope nel 2006 fu una notevole intensificazione che radicalizzò la resistenza somala, da Sheikh Sharif Sheikh Ahmed e l’Unione delle Corti Islamiche a Sheikh Hassan Dahir Aweys e Hisb-al-Islam, e i militanti al-Shabab.
Sharif perse credibilità stando a Gibuti, che aiutò l’invasione, riscuotendo le congratulazioni USA, e diventando beneficiario di 213 milioni di $ da parte della conferenza dei donatori UE il 23 aprile 2009, mentre il Vertice di Doha della Lega Araba del 30-31 marzo [u.s.] non concesse nulla a meno che egli si riconcili con i suoi avversari. Sharif è cauto nelle sue relazioni con l’Etiopia e il suo primo ministro Meles Zenawi, deluso da Bush, mentre Aweys ha due richieste chiarissime:
* fuori tutti gli stranieri
* cambiamento costituzionale in una repubblica islamica.
Immaginiamo ora una conferenza ONU-Unione Africana con tutte le tematiche sul tavolo e tutti gli attori interessati dal risultato al tavolo, a spiegare tutte le loro preoccupazioni e ascoltare quelle altrui. Un accordo potrebbe contenere elementi come:
1.Scuse e compensazioni per le perdite dovute alla pesca;
2.Sorveglianza internazionale delle navi con rifiuti tossici a bordo;
3.Scuse e compensazioni per l’invasione etiope;
4.Il diritto dei somali all’auto-determinazione politica;
5.Fine della pirateria con sorveglianza internazionale;
6.Una riconciliazione su larga scala organizzata internazionalmente.
L’Occidente deve ammettere che sono stati commessi crimini, che non ha mai capito un paese basato sui clan (come quelli di Suleyman e Saleebar), né i concetti islamici di governo, ma solo i propri. Il quinto punto lo capiscono. E per il sesto potrebbero imparare da Kevin Rudd, primo ministro australiano.
Ma supponiamo che a loro importi solo il 5° punto, come adesso, ciechi a tutti gli altri. E che “vincano”: con “lagunari” o loro equivalenti su ogni nave, allarme precoce satellitare, porti isolati – misure facili, elementari, strano che non ci abbiano pensato finora.
Si dichiara allora: “missione compiuta”. E poi che succede?
La guerra trasmigra in un’arena diversa. Le guerre riguardano anche la sistemazione dei conti, che qui sono parecchi. La pirateria è una guerra lieve, niente vite perdute salvo sette per i cannoni USA e francesi, nessuna nave danneggiata, qualche carico ritardato e una modesta ridistribuzione di denaro. Ma se i pirati si procurassero quattro cannoncini antiaerei ZU-23, sarebbe forse meglio? Attacchi suicidi? Rapine bancarie o a turisti americani in qualunque parte dell’Africa? Bombardamenti delle ambasciate USA?
Questa non è in alcun modo una difesa della pirateria, solo uno sforzo di vedere il contesto, di esplorare dove potrebbe situarsi una soluzione. Nel 1805 Thomas Jefferson iniziò gli interventi militari USA all’estero contro “la pirateria” della Costa dei Barbari-Tripoli (Libia). Erano barbari, mentre i popoli civilizzati si occupano di commercio. Ma forse ad essi non interessava quel commercio? Comunque, entro il 1815 i marine USA avevano già inculcato loro la civiltà.
Per i somali i temi sono connessi olisticamente; l’Occidente cartesiano piglia e sceglie guidato dall’auto-compiacimento. Si potrebbe ricorrere al Tribunale Penale Internazionale, uno strumento collaudato per la ricolonizzazione dell’Africa, gestito dai bianchi contro i neri, in flagrante violazione del fondamentale principio giuridico dell’uguaglianza davanti alla legge, visto che i principali criminali ne sono esenti.
Un sistema più avanzato di giudizio, ripristino e conciliazione, come quello polinesiano, potrebbe arrivare a una soluzione in un giorno o due. E ci sono approcci simili somali (shir). Non sarebbe poi forse strano se i somali prendessero la legge nelle proprie mani?

4 Maggio 2009

Traduzione di Miky Lanza per il Centro Sereno Regis
Titolo originale: PIRACY AND SOMALIA
http://www.transcend.org/tms/article_detail.php?article_id=1212