Immanuel Kant, Guerra e pace: politica, religiosa, filosofica. Scritti editi e inediti (1775-1798) – Recensione di Claudio Belloni

Immanuel Kant, Guerra e pace: politica, religiosa, filosofica. Scritti editi e inediti (1775-1798), a cura di Gerardo Cunico, Diabasis, Reggio Emilia 2004, pp. 155, € 16,00, ISBN 888103331-3.

Se davvero la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero, allora un grande filosofo vissuto nel Settecento in Prussia non può non aver messo a tema una riflessione sulla guerra. «La ripresa su scala globale di una politica che suppone di risolvere i conflitti (locali e globali) con i mezzi violenti della guerra riporta di attualità le meditazioni e le proposte di Kant» (p. 9). È con questa motivazione che Gerardo Cunico ha raccolto e curato la pubblicazione di una serie di scritti kantiani sui temi della guerra e della pace. Con il suo prezioso lavoro introduttivo, il curatore presenta il contesto in cui Kant inserisce le riflessioni sulla guerra, la quale non è altro se non una delle forme (illegittime) in cui si dà il conflitto. Secondo Kant, il conflitto «è una componente essenziale della vita umana, o anzi della vita in generale, perché è ciò che la mantiene attiva, reattiva e in movimento (…) il conflitto è legittimo quando tutte le parti in causa hanno la possibilità di far valere liberamente le loro pretese, le loro ragioni e le loro critiche reciproche di fronte a un’istanza superiore di giudizio» (cfr. pp. 10s.). Le forme principali di conflitto (legittime e non) riguardino gli interessi, i valori e le opinioni, ovvero i settori della politica, della religione e della filosofia. In tutti questi casi il conflitto è vitale, poiché stimola lo sviluppo dei relativi ambiti e la ricerca di soluzioni più universali e razionali per i rispettivi problemi. La dimensione conflittuale è così estesa, perché le ragioni tendono a entrare in conflitto tra loro (come pure la ragione con sé stessa), dunque la conflittualità caratterizza la fisiologia dei soggetti implicati al loro stesso interno, oltre che verso l’esterno. Condizione perché i conflitti svolgano il loro compito sano e fisiologico è la legittimazione reciproca delle parti in conflitto (individui, stati, chiese, scuole filosofiche) e il comune riconoscimento di un’istanza superiore, di un tribunale che possa dirimere le questioni sollevate. Tale tribunale, in ultima analisi, è quello della ragione (cfr. il brano tratto dalla Critica della ragion pura, pp. 70-77), la quale, nei rispettivi settori, trova le forme e le istituzioni più adatte a ottenere il suo scopo. Nel Conflitto delle facoltà (1798) Kant attribuisce alla facoltà di filosofia – poiché, a differenza di quelle strettamente controllate dallo stato (teologia, giurisprudenza, medicina), in questa ricerca l’unica autorità è la ragione – il compito di vegliare sulla verità di ciò che viene proposto al pubblico. Analogamente, il ruolo che la ragione critica svolge nel conflitto della filosofia con le altre discipline o all’interno stesso del discorso filosofico tra posizioni scettiche e dogmatiche, o, ancora, la giustizia civile nella contesa degli interessi individuali, dovrebbe essere svolto, per dirimere le questioni internazionali,  da un organo riconosciuto dalla totalità degli stati sulla base di un diritto universale comune. Questa, in estrema sintesi, la soluzione al problema della guerra data da Kant e nota al lettore italiano grazie al celebre scritto Per la pace perpetua del 1795. Questa raccolta ripropone quel testo in versione aggiornata, ma ha il merito di estendere la visuale sulla riflessione kantiana anche a scritti meno noti, se non inediti, che vanno dalle Lezioni di antropologia del 1775 al già citato Conflitto delle facoltà pubblicato da Kant nel 1798.
Nelle Lezioni di antropologia, Kant affronta il tema del passaggio dell’umanità dallo stato di natura allo stato civile. L’uomo, in quanto animale, gode nello stato di natura di un’assoluta libertà individuale, ma la finalità della specie umana, la perfezione, può essere raggiunta soltanto grazie al progresso culturale, civile e morale. In questo processo è il male, fisico e morale, a costituire lo stimolo capace di vincere la pigrizia umana e a consentire, con la società civile, il godimento di un bene maggiore. «È piaciuto alla Provvidenza trarre il bene dalla radice del male» (p. 47).
I passi tratti dalla Religione entro i limiti della semplice ragione (1793) illustrano la lotta del principio del bene contro il principio del male. Quest’ultimo, radicato in ogni individuo e impersonato dall’essere malvagio, domina il mondo, ma perde il proprio controllo su coloro che sanno ascoltare la voce della coscienza, capace di suscitare la vera libertà e moralità. Tale vittoria sul principio malvagio va pensata in termini escatologici (idea regolativa) e guida l’evoluzione degli stati e delle chiese al superamento delle forme storiche contingenti, verso l’autentica universalità e unità razionale della comunità etica e del regno di Dio in terra.
Infine, la raccolta propone l’Annuncio della prossima stipulazione di un trattato per la pace perpetua in filosofia (1796). In questo scritto, Kant torna sulla distinzione di conflitto e guerra: «la condizione conflittuale non è ancora una guerra, bensì può e deve anzi tenerla lontana, facendo decisamente prevalere gli argomenti pratici sui controargomenti, e così può e deve assicurare la pace» (p. 151). La filosofia, per svolgere il proprio compito di sorveglianza critica sulla verità di ciò che viene pubblicamente sostenuto, deve «stare sempre in armi (contro coloro che capovolgono le cose confondendo i fenomeni con la cosa in sé)» (p. 150). Che la menzogna sia in buona fede o meno, poco importa: derivando «“dal padre delle menzogne attraverso il quale è venuto al mondo ogni male” è il vero e proprio punto guasto nella natura umana; (…) Il comandamento: Non mentire (foss’anche nell’intento più pio), accolto intimamente nella filosofia come dottrina della saggezza, non soltanto potrebbe da solo produrre la pace perpetua in filosofia, ma anche assicurarla per tutto l’avvenire» (p. 155).

Claudio Belloni

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