Pirati, Mumbai, e poi?

Johan Galtung

Eccoci di nuovo ai problemi di fondo. Si commettono atrocità lungo la costa somala e a Mumbai, e i nostri pensieri sono con le vittime e gli sventurati. Vittima ne è anche la “vita normale”. Eppure insiste quella domanda scottante: perché, perché, perché!?

Perché il giornalismo è così scarso nell’arrivare alle motivazioni; non che siano tutto, ma sono importanti. A un altro livello di conflitto, a scuola, specificamente una scuola sperimentale per il metodo SABONA (TRANSCEND a livello scolastico), la prima domanda da porre quando è stato commesso un atto di violenza, verbale o fisica, suona così:

“Quel che hai fatto è inaccettabile, e probabilmente lo sai. Ma perché l’hai fatto, che cosa ti si è scatenato dentro?”

La risposta contiene sempre un indizio dell’accaduto. E molto sovente, non sempre, la storia è di questo genere: c’è qualcosa da comunicare, una rimostranza, un qualche obiettivo da conseguire, qualche scopo. Ma i mezzi scelti sono violenti, molto spesso per carenza di altri mezzi, o così si pensa. La violenza come modalità comunicativa è inaccettabile, come pure qualunque cosa limiti la comunicazione alla violenza. Il che tuttavia non implica assolutamente che qualunque obiettivo sia inaccettabile, bensì solo che i mezzi lo erano, sbagliati, malamente scelti. “La violenza è l’unico linguaggio che capiscono” non serve da assegno in bianco per qualunque atrocità; ma indica un deficit importante da qualche parte.

Dice un bimbo che aveva distrutto il pupazzo di neve messo insieme con tanto gusto da coetanei: “Non mi avevano invitato a giocare”. Facile da rimediare. Ma che cosa vuol dire “giocare” nella grande politica? Forse essere sentiti, avere non solo la sensazione ma la convinzione di essere un soggetto e non solo un oggetto dell’agenda? Di quanto sta succedendo? In Somalia e in India si tratta di vari accadimenti non trascurabili, come un’invasione e l’avvento del capitalismo. Troppo presto per poterlo dire. Ci serve più informazione, e non l’otteniamo.

Quello che invece otteniamo è “chi è stato”, chi lo ha fatto. Il che cosa e il come, il quando e il dove della violenza più o meno lo sappiamo, nella misura in cui la polizia/i militari siano disposti a passare qualche informazione attentamente soppesata a giornalisti pronti ad ascoltare. Ma il perché rimane indietro; e non è difficile vederne la ragione: e se quella catena causale dovesse a un certo punto lambirci con quel “abbiamo fatto qualcosa” che comporta l’atrocità nella sua scia?

Sicché siamo di nuovo al Paradigma 1 se volete, il Male contro il Bene. Le religioni abramitiche ne sono piene fino all’orlo, e danno il là. Satana, l’ex-Lucifero, brillante come tutti gli angeli e con una lingua letteralmente infernale, combatte con Dio contendendogli la nostra anima, o la sua espressione sociale scolpita nell’ordine mondiale. L’unico rimedio è la forza, dell’anima e dell’ordine sociale e mondiale, invocando la fede, la polizia e i militari. E per la penitenza dei deboli che cedono alle tentazioni di Satana, e per la  punizione di coloro che distruggono la “vita normale”. Quello che conta è il loro comportamento, assoggettare gli indocili alle norme dei governanti è quanto bisogna fare, portarli in tribunale per un debito processo, scoraggiare e reprimere ove necessario. Dei motivi, che cosa importa?

Bene. Bisogna fare qualcosa di tutto questo. Ma i paradigmi legali e di efficacia derivanti dal roccioso dualismo e manicheismo di Male contro Bene hanno grosse limitazioni. Immaginiamo che il Male si veda come  Bene e il Bene come Male. Anziché solo come un delinquente comune dentro fino al collo non solamente all’illegalità ma anche all’illegittimità. Allora avremmo una gara di forze in corso, forse anche una corsa agli armamenti dove la genialità ha un posto primario, persino una gara di cause, su chi ha la causa migliore sul lungo periodo? Chi farà meglio al tribunale della storia? Tra l’altro, di solito non gli imperi, che si portano malaccio.

Abbiamo bisogno di un Paradigma II, più approfondito in materia.

L’amministrazione Bush è riuscita bene a eliminare la domanda sul perché dalla vicenda 11 Settembre, riducendola a che cosa, come, quando e dove. Comunque, quello che pur così ne risulta chiaro è che gli autori di quell’atrocità sembravano avere qualcosa contro il commercio mondiale e il pentagono mondiale: latori chiave di violenza strutturale e diretta, nonché di qualche beneficio strutturale e diretto. Ci può essere un conflitto, in attesa di una diagnosi, una prognosi e soprattutto di una terapia. O semplicemente una spirale di violenza, proactio-actio-reactio, fuori controllo, con perpetratori e vittime più simmetricamente distribuiti.

Così, che cosa abbiamo nei nostri due casi attuali, presto destinati a essere seguiti da altri altrettanto o più atroci? Forse che i pirati sono contro la navigazione? Probabilmente no, piuttosto a favore dei soldi. Perché? Forse per loro arricchimento personale, più probabilmente per finanziare la resistenza alla “comunità internazionale”. E il perché sarebbe una lunga storia, il cui nocciolo sta nell’essere il bersaglio navigazione più rilevante per il procedimento – il combattimento – che nel risultato.

Per Mumbai è diverso. Si parla di un movimento per il Deccan e di una squadra molto internazionalizzata. Si capirebbe il distretto finanziario, ma perché allora principalmente alberghi? Incentrati su un centro americano, inglese ed ebraico? GB-USA-Israele? L’attuale ordine mondiale da circa il 1750 è anglo-americano. Dopo essere finalmente riusciti a battere la Francia a Waterloo nel 1815, hanno continuato con la Germania ben due volte e hanno pareggiato con la Russia. Qualche resistenza?

L’esplorazione della catena causale non assolve assolutamente gli autori degli attentati, esattamente come Versailles non serve a giustificare Auschwitz. Ma se non ci piace il risultato finale di una catena causale, la violenza, forse dovremmo eliminare le cause con un ordine mondiale migliore? Quindi buona fortuna, Obama, tocca a te adesso. Un po’ di empatia, per favore. Nonviolenza. E moltissima creatività.


1 dicembre 2008, Titolo originale: PIRATES, MUMBAI, AND THEN?

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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