Gandhi, la politica come cura delle creature

Enrico Peyretti

Gandhi non conobbe i rischi ambientali che corriamo noi oggi, ma ebbe tutta la sensibilità e la preveggenza per darci avvisi e indicazioni essenziali e preziose, preventive, quasi profetiche. Scrive che è la sua devozione alla Verità che lo ha condotto alla politica; per lui la Verità è Dio, e Dio è l’unità profonda di tutte le cose, dunque «per vedere faccia a faccia l’universale e onnipresente Spirito della Verità si deve essere in grado di amare il più infimo degli esseri creati come se stessi» (Gandhi 1996, p. 31). Questo essere infimo è l’uomo più oppresso e sofferente, come il tiranno violento, come il più piccolo degli animali e delle cose del mondo. Perciò non si può uccidere e distruggere nulla senza contraddire la legge della vita.

Ma Gandhi non condivide lo scrupolo dei giainisti che evitano anche di schiacciare senza volerlo una formica. Egli ammette che, come ci sono casi tragici estremi in cui è persino doveroso uccidere un uomo che sta per uccidere altri, se davvero non c’è un altro modo di fermarlo, così a maggior ragione ci si può difendere da animali dannosi uccidendoli. La sua nonviolenza non è un astratto assolutismo morale, ma il massimo impegno a ridurre al minimo possibile la violenza insita nella vita, sviluppando l’amore per tutti gli esseri e precisi metodi alternativi di gestire i conflitti personali e politici, escludendo del tutto l’istituzione della violenza che è la guerra.

Gandhi è certamente un grande spirito religioso, ma altrettanto è uno scienziato e sperimentatore che ha rivoluzionato le tecniche del conflitto trasformandolo da distruttivo a costruttivo. Questo suo contributo si estende anche al rapporto degli umani con la natura, che, nell’età moderna, si è svolto in modi aggressivi, di esaustiva rapina, arrivata oggi a livelli drammatici. Nel 1908, durante il viaggio di ritorno da Londra al Sud Africa, Gandhi scrisse un libretto, Hind Swaraj (Autogoverno dell’India). La ricorrenza centenaria è l’occasione per leggere o rileggere questo scritto, che a tutta prima risulta a noi così sconcertante che si è tentati di respingerlo. È una critica radicale della civiltà occidentale. L’indipendenza e l’autogoverno dell’India a cui pensa Gandhi, più dell’indipendenza politica, è il ricupero del modo di lavorare, di abitare la terra, di vivere, proprio della civiltà e spiritualità indiana tradizionale, grande nel mondo: «La civiltà è quel modello di condotta che indica all’uomo il cammino del dovere». Al contrario, quello occidentale è «un sistema competitivo che corrode la vita» (p. 57).

La critica all’Occidente consiste in due punti principali (Salio 2000): primo, l’idea di crescita economica quantitativa senza limite, che è di per sé distruttiva e anche autodistruttiva, tanto che, dice Gandhi, basta aspettare per vedere crollare questo sistema; secondo, il modello umano di homo oeconomicus, che produce non solo ingiustizie atroci, grandi ricchezze e grandi miserie, ma riduce e amputa le dimensioni proprie dell’essere umano. Le critiche di Gandhi al Parlamento inglese, ai politici, ai giornali, alle ferrovie, a tribunali e avvocati, alla medicina e agli ospedali, all’urbanesimo, al militarismo, al primato del commercio, all’immoralità, alla irreligione, hanno anche alcune punte che riconosciamo eccessive. Gandhi stesso, che ha scoperto studiando a Londra le proprie radici indiane, farà uso di alcune delle tecniche sviluppate in Occidente. Ma il senso della sua critica non è sui particolari quanto sui caratteri di fondo accennati, sui quali ci conviene meditare oggi più di allora. Gandhi non è contro le macchine, ma contro il macchinismo. Egli offre le premesse fondamentali all’ecologia profonda (cfr Naess).

Il fine della politica per Gandhi è vivere insieme, nella giustizia e nella semplicità volontaria, nel dominio delle passioni, nel seguire la verità, nel coraggio che resiste alle violenze senza imitarle. La sua politica è soprattutto un concreto programma costruttivo, che egli propone già in Hind Swaraj e sviluppa sempre negli anni. Giuliano Pontara sostiene che non è tanto l’astensione dalla violenza quanto questo sforzo costruttivo la vera essenza della nonviolenza gandhiana. Sono punti precisi di impegno contro i mali propri dell’India (matrimoni precoci, condizione della donna, divisione in caste, alcolismo, dipendenza produttiva dall’Inghilterra, educazione, igiene, ecc.), su cui Gandhi misura la capacità dell’India di autogovernarsi. Civiltà umana e economia di giustizia vanno insieme in questo programma, che continua nei filoni gandhiani tuttora vivi nella società indiana, per lo più lontana dal sogno del Mahatma.

Le linee di economia ecologica gandhiana si possono raccogliere in alcune parole chiave: swadeshi, autosufficienza locale; lavoro per il pane, manuale e personale; non-possesso e non-attaccamento; uguaglianza e non-sfruttamento; amministrazione fiduciaria (terza via tra la proprietà privata e quella statale); satyagraha, alternativa alla lotta di classe violenta (Salio 2001).

Mi pare che l’idea di Gandhi sia che il meglio è conservare con amore e cura lo stato naturale della vita, sperimentato dalla saggezza delle generazioni. Egli vede nelle aggiunte artificiali soprattutto i pericoli, che esigono il massimo controllo, non sempre bastevole. Esagerato lui, o esagerato lo sviluppismo successivo? Egli ha vissuto fino a vedere l’atomica, nel 1945, esito delle idee e delle pratiche violente, e ha sperato che quel massimo di violenza facesse rinsavire l’umanità, per amore e rispetto della vita.


Bibliografia

Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi 1996
Manara Fulvio Cesare, Una forza che dà vita. Ricominciare con Gandhi in un’età di terrorismo, Unicopli 2006
Naess Arne, Ecosofia. Ecologia, società e stili di vita, Red 1994
Pontara Giuliano, L’antibarbarie. La concezione etico-politca di Gandhi e il XXI secolo, Edizioni Gruppo Abele, 2006
Salio Nanni, Elementi di economia nonviolenta, Edizioni del Movimento Nonviolento, 2001
Salio Nanni, Tratti dell’economia nonviolenta gandhiana, in Gandhi, Economia gandhiana e sviluppo sostenibile, Edizioni SEB27, Centro Studi Sereno Regis, Torino 2000.

Pubblicato su Confronti–quaderni “Un’altra terra è possibile”, n. 9, settembre 2008, pp. 51-52.