Heidi tra montagna e città: ipotesi per una sobrietà ubiqua

Heidi tra montagna e città: ipotesi per una sobrietà ubiqua di Cinzia Picchioni (Intervento al convegno La montagna dolce, Borgo San Dalmazzo – 26-27 ottobre 2007)

Grazie a Francesca Landriani, grazie a tutti che – prima di me – hanno parlato di «esseri viventi» (la casa, il torrente, il bosco) e allora grazie anche alle montagne – bellissime – che ho potuto ammirare venendo qui (in treno, perché se fossi venuta in auto – che peraltro non ho per scelta – non avrei potuto goderne). Grazie a chi ci ospita e al privilegio di essere qui, insieme, a parlare e sentir parlare della Montagna dolce (per caso è una citazione del bellissimo film di Jodorovsky La montagna sacra?). E a proposito di privilegio vorrei iniziare leggendovi Se…:

Se si potesse ridurre la popolazione del mondo intero in un villaggio di 100 persone, mantenendo le proporzioni di tutti i popoli esistenti al mondo, tale villaggio sarebbe così composto: ci vivrebbero 57 asiatici, 21 europei, 14 americani (nord, centro e sud-america), 52 sarebbero donne, 48 uomini, 70 sarebbero non bianchi, 30 sarebbero bianchi, 70 sarebbero non cristiani, 30 sarebbero cristiani, 89 sarebbero eterosessuali, 11 sarebbero omosessuali, 6 persone possederebbero il 59% della ricchezza del mondo intero e tutti e 6 sarebbero statunitensi, 80 vivrebbero in case senza abitabilità, 70 sarebbero analfabeti, 50 soffrirebbero di malnutrizione, 1 starebbe per morire, 1 starebbe per nascere, 1 possederebbe un computer, 1 (sì solo 1) avrebbe la laurea. Se si considera il mondo in questa prospettiva, il bisogno di accettazione, comprensione ed educazione diventa evidente. Prendete in considerazione anche questo: se vi siete svegliati questa mattina con più salute che malattia, siete più fortunati del milione di persone che non vedranno la prossima settimana; se non avete mai provato il pericolo di una battaglia, la solitudine dell’imprigionamento, l’agonia della tortura, i morsi della fame, siete più avanti di 500 milioni di abitanti di questo mondo; se avete cibo nel frigorifero, vestiti addosso, un tetto sopra la testa e un posto per dormire siete più ricchi del 75% degli abitanti del mondo; se avete soldi in banca, nel vostro portafoglio e degli spiccioli da qualche parte in una ciotola, siete fra l’8% delle persone più benestanti del mondo; se i vostri genitori sono ancora vivi e sono ancora sposati, siete delle persone veramente rare (anche negli Stati Uniti e in Canada); se potete leggere questo messaggio, avete appena ricevuto una doppia benedizione, perché qualcuno ha pensato a voi e perché siete tra i due miliardi di persone che non sanno leggere. Qualcuno una volta ha detto: «Lavora come se non avessi bisogno di soldi: Ama come se nessuno ti avesse mai fatto soffrire. Balla come se nessuno ti stesse guardando. Canta come se nessuno ti stesse sentendo. Vivi come se il Paradiso fosse sulla Terra». Leggi questa lettera, poi fai le tue scelte come un uomo che può migliorare la sorte degli altri.
Sono stata invitata qui anche perché ho scritto, tra gli altri, un libro sulla scelta di vivere «volontariamente in modo semplice». Il libro è questo (lo mostro), ed è l’unica copia rimasta, grazie al Cielo – perciò a gennaio ne uscirà un’edizione ampliata, riveduta e corretta. Fino ad allora leggiamo direttamente da qui qualcosa che ci spiega che cos’è e come si fa la semplicità volontaria.

Già nel 1803 l’economista inglese Thomas Robert Malthus portò l’attenzione sul fatto che la crescita della popolazione avrebbe superato in modo esponenziale la produzione di cibo, causando una «generale miseria», ma il suo avvertimento fu ignorato dall’onda crescente dell’ottimismo tecnologico industriale, così adesso siamo più di dieci miliardi e alla fine del XXI secolo saremo vicini ai 15 miliardi, e la Terra è sempre la stessa! In un giorno consumiamo la quantità di combustibile fossile (petrolio, gas, carbone) che è stato generato in mille anni dalla natura. Si può facilmente capire che occorre un’inversione immediata di tendenza: bisogna passare dalla logica del massimo a quella del minimo, semplificare e ridurre i bisogni e soddisfarli col minimo dispendio possibile di materie prime, energia e lavoro; provocare la minor quantità possibile di danni alle risorse non rinnovabili e all’ambiente; «far pace con la Terra» (è una frase di Michele Boato); vivere esercitando non il massimo bensì il minimo impatto sulle altre specie e sulla Terra. «Semplicità volontaria» indica uno stile di vita secondo alcuni criteri (da: D. Elgine, Voluntary Semplicity, Morrow, New York 1981) ciò che possiedo e compro favorisce l’azione, la fiducia in me stesso e l’impegno, o induce ala passività e alla dipendenza? I miei modelli di consumo sono fondamentalmente soddisfacenti oppure compro molte cose che non corrispondo a un bisogno reale? Che rapporto c’è tra il lavoro che svolgo, il mio stile di vita e i pagamenti a rate, i costi di manutenzione e riparazione e le apsettative degli altri? Prendo in considerazione l’impatto del mio modello di consumo sugli altri e sulla Terra?

Poco fa durante il suo intervento, Francesca Landriani ha accennato all’impronta ecologica. Ci invitava a ritenere anche la casa come un essere vivente. Sono molto d’accordo a aggiungo che l’intero pianeta è un essere vivente e dobbiamo cercare di non violentarlo, di essere «lievi» nel nostro passaggio sul pianeta. Ricordando le parole di Alexander Langer «Non “sempre di più”, ma “Può bastare per me e per gli altri”», Francesca, nel suo ruolo di bio-architetto, si chiede: «Mi serve, mi serve davvero il tal prodotto edile/costruttivo?». Anche la semplicità volontaria ci porta a chiederci sempre: «Mi serve davvero quello che sto per comprare, desiderare, fare?» o anche «Come posso fare la tal cosa con meno impatto sulla vita della Terra (e degli altri esseri viventi)?», cercando la soluzione più «leggera» in termini di «impronta ecologica». A proposito vi leggerò alcune righe di un libro che vi invito a leggere e di cui ho avuto la fortuna di curare la redazione nel 1987 (quando lavoravo alla casa editrice del Gruppo Abele). Mi ha cambiato la vita, è di Devall-Sessions, si intitola Ecologia profonda:

Principi basilari: 1. Il benessere e la prosperità della vita umana e non umana sulla Terra hanno valore per se stessi (…); 2. La ricchezza e la diversità delle forme di vita contribuiscono alla realizzazione di questi valori e sono inoltre valori in sé; 3. Gli uomini non hanno alcun diritto di impoverire questa ricchezza e diversità a meno che non debbano soddisfare esigenze vitali; (…)5. L’attuale interferenza dell’uomo nel mondo non umano è eccessiva e la situazione sta peggiorando progressivamente; 6. Di conseguenza le scelte collettive vanno cambiate. (…); 7. Il mutamento ideologico consiste principalmente nell’apprezzamento della vita come valore intrinseco piuttosto che nell’adesione a un tenore di vita sempre più alto. Dovrà essere chiara la differenza tra ciò che è grande qualitativamente e ciò che lo è quantitativamente. 8. Chi condivide i punti precedenti è obbligato, direttamente o indirettamente, a tentare di attuare i cambiamenti necessari. Anche perché l’inquinamento sta facendo diventare rare e costose anche risorse – come l’acqua e l’aria – che un tempo erano abbondanti e gratuite: oggi le acque di quasi tutti i fiumi d’Italia sono inutilizzabili e pericolose per la pesca, per gli acquedotti, per l’agricoltura e in certi casi persino per l’industria. Così bisogna cercare l’acqua nelle fonti di montagna (ma lentamente l’inquinamento sta «scavando» pure questa, anche perché a prendere l’acqua e a godere delle bellezze incontaminate ci andiamo con l’automobile e contribuiamo così a contaminarle. È un assurdo circolo vizioso! Quando usiamo l’acqua, ricordiamoci che 1,4 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua; quando scegliamo l’acqua in bottiglia invece di quella del rubinetto rendiamoci conto che 330 su 1 è il rapporto tra il costo dell’acqua in bottiglia con quella del rubinetto, che – ormai lo sanno tutti – è buona come (e a volte di più) quella imbottigliata).

Vi chiedo pietà per l’acqua (di Guido Ceronetti)
Anche l’acqua è una specie in estinzione, la dolce, la potabile o depurabile. Le risorse disponibili, calcolate in dieci milioni di chilometri cubi, non sarebbero esigue in un pianeta popolato come mille anni fa e sul quale la popolazione umana rimanesse stabile: ma stiamo oltrepassando, se non sbaglio, il sesto miliardo. In questo mezzo secolo la superficie verde, per abbattimenti, siccità e incendi si è ridotta di un terzo. (…)Nel 1997 non è quasi più vista la pioggia in Italia settentrionale; la terra rifiuta il seme. La pioggia è vista molto male dai turisti, dagli sportivi, dai dementi dei Grandi Esodi: ancora pochi anni e il loro giubilo non avrà più limiti, ne cadrà sempre meno perché il ricambio di umidità è definitivamente compromesso. (…) Un pianeta senz’acqua è un pianeta morto, amen, a questo bisogna pur arrivarci, (…) L’acqua che scorre copiosa dalle docce e dai rubinetti, invitando a un consumo senza freni è terra sottomessa (..) per il bisogno basterebbe un bottiglione da due litri, ne distruggiamo sessanta o settanta, per sadismo inconscio, ma non del tutto, perché c’è un piacere nel far scorrere l’acqua, soltanto chi ne soffre, chi prova orrore dello spreco, chi è sensibile alla sofferenza dell’acqua imprigionata nei tubi, chi sente l’acqua come se stesso, imprigionato e gettato negli scarichi, avvelenato dalle schiume, non ha il marchio del sadico. (…) La fine dell’acqua è cpminciata quando è cessata la fatica per procurarsela. La sorgente lontana attenuava l’istinto sadico. Il secchio e la brocca lo tenevano a freno. (…)

(da M. Pallante, Un miracolo economico inutile e inquinante, «Oltre lo sguardo», Coordinamento comasco per la pace, set-ott 2007): Alla fine dell’Ottocento, quando mia nonna era bambina, la sua famiglia viveva in una casa in cui non c’era acqua corrente, come in quasi tutte le case. Così ogni giorno dovevano andare a prenderla alla fontana nella piazzetta vicina. La vedo con gli occhi dell’immaginazione scendere le scale carica di brocche e secchi, fare un piccolo tratto di strada, mettersi in coda chiacchierando con le altre donne e le altre bambine in attesa del loro turno, tornare a casa portando a braccia i recipienti pieni. Una vita faticosa e dura. Oggi, dopo più di cent’anni di progresso, nei supermercati le persone riempiono i carrelli di bottiglie di plastica piene d’acqua, le scaricano nei portabagagli delle automobili, con cui le portano nelle loro abitazioni, le scaricano dai portabagagli e le portano a braccia in casa. Proprio come faceva mia nonna, ma con sei differenze:
1. Mia nonna era costretta a fare la fatica di portare a braccia l’acqua in casa. La sua non era una scelta; 2. Mia nonna per portare l’acqua a casa doveva soltanto scendere le scale e fare un breve tratto di strada a piedi. Oggi le persone per coprire il tragitto casa-supermercato-casa usano l’automobile, impiegano più tempo, hanno costi di trasporto e consumano fonti fossili…; 3. L’acqua che portava a casa mia nonna era attinta dalla falda idrica sossostante; l’acqua in bottiglia viene da centinaia, migliaia di chilometri di distanza. Ha un costo di trasporto e consuma fonti fossili…;4. I recipienti di metallo con cui mia nonna trasportava l’acqua erano sempre gli stessi; quelli tutilizzati oggi sono di polietilene tereftalato (Pet) monouso. Per produrli si è consumato petrolio (…); si è consumato gasolio per trasportarli (…); altro gasolio si consumerà per portarli dalle abitazioni ai cassonetti della raccolta differenziata. (…); 5. La produzione di un chilogrammo di Pet richiede 17,5 chilogrammi di acqua (…). Pertanto, per trasportare 45 litri d’acqua se ne consuma quasi la metà. A mia nonna poteva caderne qualche goccia per strada se riempiva troppo i recipienti. (…); 6. L’acqua che portava a casa mia nonna non costava nulla, l’acqua in botiglie di plastica costa. (…) Rispetto au tempi di mia nonna, per fare la stessa fatica e avere la stessa utilità ci vuole più tempo, si inquina molto, mentre prima non si inquinava affatto, e si paga, mentre prima non si pagava. (…).

(da G. Ceronetti, Vi chiedo pietà per l’acqua, «La Stampa»): Inoltre, sia da noi che nel resto d’Europa, è tollerato l’imbottigliamento in plastica, che il consumatore orbo ha accolto con favore, per un risparmio sul vetro di poche lire. (Vorrei farvi vedere una cosa e darvi un suggerimento, ricordandovi che una bottiglia di plastica (Pet o Pvc) impiega da 100 a 1000 anni – sì avete letto bene, non è un errore, mille anni per scomparire: mostro la bottiglietta di plastica, riempita di acqua del rubinetto nel bagno, che mi sono portata da casa, e che era una bottiglietta dello yogurt). E la bottiglia di plastica è altro brutto: come fa quel che è brutto essere anche buono? E qual è l’esito della brillante operazione industriale-commerciale che ha introdotto la plastica nel consumo dell’acqua? Una quantità – calcolabile in miliardi – di bottiglie non frangibili e non riciclabili che galleggiano sui fiumi e che la risacca ributta sulle spiagge, pressate nelle discariche o destinate a produrre diossina negli inceneritori. (…) I veleni industriali finiscono quasi tutti nelle acque dolci; la porosità magica della terra li conduce fino alle falde. Le schiume casalinghe di Pinerolo arrivano fino ai pinguini. (…)

E Greenpeace (sì, sempre Greenpeace, l’unica organizzazione a cui dò dei soldi) ci dice che lo stato degli oceani è preoccupante. Oceans in Peril si intitola il rapporto dedicato ai mari del pianeta: la diversità è minacciata dalla pesca industrializzata, lo sbiancamento dei coralli è dovuto ai cambiamenti climatici (per lo stress termico i coralli espellono le alghe simbionti e la barriera diventa più fragile), preoccupano anche le alterazioni delle correnti marine (che regolano il clima) e l’acidificazione dell’acqua di mare. Nel frattempo continuiamo a versare in mare sostanze chimiche e radioattive, idrocarburi e rifiuti (soprattutto plastica) sono ovunque, e gli scarichi, urbani o agricoli, causano esplosioni algali e anossia dei fondali, nel Golfo del Messico, ma anche nell’Adriatico. Siamo ancora in tempo per salvare gli oceani, ma questo tempo non è più molto.
Dunque risparmio dell’acqua: giacché questo convegno si chiama La montagna dolce, apro una piccola parentesi su ciò che non dobbiamo fare per il bene della montagna e su cosa possiamo fare per il bene della montagna. Cominciamo da qualcosa che possiamo fare.
Quello del pastore è un mestiere a rischio di estinzione. (…) La situazione è più difficile nelle zone montane (…). «Quella degli allevatori (…) era una realtà redditizia fino a trent’anni fa» dice Nunzio Marcelli, proprietario di un’azienda biologica di ovicaprini e presidente dell’associazione Arpo ad Anversa degli Abruzzi, in provincia dell’Aquila (…) che ha deciso di passare alle contromisure con un’iniziativa (…) «Adotta una pecora. Difendi la natura» (www.adottaunapecora.com, tel. 0864.490944). «Proponiamo di adottare a distanza un animale e, volendo, di seguire in ogni momento la sua vita in azienda (…). In cambio delle spese di allevamento, chi adotta l’animale può disporre di ciò che produce. Latte, formaggi e lana» (da «Venerdì di Repubblica», 2005).
E a proposito di ciò che non dobbiamo fare per il bene della montagna, si è parlato di turismo in montagna, e anch’io sono d’accordo, mi piace camminare in montagna perché abbiamo bisogno della bellezza della montagna (e la montagna, per ri-vivere, ha bisogno anche del turismo). Però credo di dover applicare questi principi: non sciare (e mi piace sciare!), non raccogliere selvaggiamente, non andare in montagna con l’auto, non andare in montagna – con l’auto – per prendere l’acqua «più buona». A proposito del «camminare in montagna», sono andata al rifugio Toesca, sopra Bussoleno. Il gestore ha aderito al progetto «Ecolabel», per ottenere il marchio il rifugio ha dovuto aderire degli standard di eco-compatibilità. E fra le altre cose nei bagni del rifugio viene richiesto di non buttare la carta igienica nello scarico; facciamolo anche noi, soprattutto in montagna. Vi racconto una cosa sconvolgente che mi è capitata un po’ di tempo e che mi ha convinto a non usare più la carta igienica (che poi cos’ha di igienico? Igienico è lavarsi!)? episodio del depuratore del Po. Ma con piacere ho saputo di non essere l’unica a porsi il problema. Anche Greepeace ha organizzato delle manifestazioni di fronte ai cancelli delle industrie produttrici di carta igienica e fazzoletti di carta, basandosi su questi dati:

Le importazioni italiane di legno, carta e cellulosa contribuiscono alla distruzione delle ultime grandi foreste millenarie. (…) ogni anno vengono eliminati o degradati dieci milioni di ettari di foreste; ogni due secondi un’area dele dimensioni di un campo di calcio viene disboscata. (…) il 24% dei mammiferi, il 12% degli uccelli e almeno il 14% delle piante sono in via di estinzione, a causa dell’inquinamento degli habitat naturali, in particolare delle foreste. Le grandi compagnie europee, nordamericane e asiatiche continuano a importare ogni anno immmensi quantitativi di legno tropicale dall’Africa e dall’Asia per costruire mobili, per la carta, il compensato, i fazzoletti monouso, la carta igienica, la carta da cucina (…). (Fonte: Greenpeace, viale Manlio Gelsomini 28-00153 Roma oppure www.greenpeace.it).

Che possiamo fare per il legno? Scegliere certi legni, limitare l’uso di altri, non usare alcuni, secondo questo schemino prodotto da Greenpeace:
Legnosì: robinia, faggio nazionale, abete nazionale, larice nazionale, castagno nazionale, noce nazionale, frassino, ciliegio americano, betulla, acero, douglas, cirmolo.
Legnoforse: quercia, rovere, leccio, pioppo, pino radiata.
Legnono: ramino, afrormosia, doussiè, red cedar, ayous-samba, mogano, cabreuva dorada, teak, merbau, meranti, balau, bangkirai, azabé, moabi, iroko, framiré.
Il progetto Climalp, per la promozione di case energeticamente efficienti costruite con legname regionale, si muove forse nella stessa direzione. Potete prendere il pieghevole fuori sui tavoli (è un’iniziativa CIPRA: www.climalp. info).

Che possiamo fare per la carta? Smettere, stasera, oggi pomeriggio, adesso, di usare fazzoletti di carta, carta da cucina, carta-forno, ricordandoci fra l’altro che un fazzoletto di carta impiega 3 mesi per scomparire, lo stesso tempo di un giornale o una rivista!!!! E se ci viene qualcosa del tipo «Non vale la pena, non serve, è inutile» ascoltate qua:

Iniziativa
(dal Faust di Goethe)
Fino a che non ci si impegna,
c’è esitazione, possibilità di tornare indietro e sempre inefficacia.
Riguardo ad ogni atto di iniziativa e creazione,
c’è solo una verità elementare,
ignorare la quale uccide innumerevoli idee e splendidi piani.
Nel momento in cui ci si compromette definitivamente,
anche la provvidenza si muove.
Ogni sorta di cose intervengono in aiuto,
cose che altrimenti non sarebbero mai accadute.
Una corrente di eventi ha inizio dalla decisione,
facendo sorgere a nostro favore ogni tipo di incidenti e di imprevisti,
di incontri e di assistenza materiale,
che nessuno avrebbe sognato potessero avvenire in questo modo.
Qualsiasi cosa tu possa fare, o sognare di poter fare,
incominciala.
Il coraggio ha in sé il genio, il potere e la magia.
Inizia ora!

Io credo che al di là dei grandi temi e delle grandi decisioni che si prendono nei «luoghi di potere», ciascuno e ciascuna di noi possa fare molto per salvare il pianeta – e quindi noi – dalla catastrofe imminente, anche perché i grandi cambiamenti richiedono tempi lunghi e soldi, mentre quelli apparentememte piccoli ppossono iniziare domani, anzi stasera, alla fine di questo convegno. Tutto serve! L’associazione del sole, il Corpo Forestale dello Stato, la CIPRA, la bio-architettura, Legambiente che difende il torrente, gli incentivi regionali. E intanto che ognuno fa il suo lavoro, secondo i suoi talenti, tutti. subito, possiamo fare qualcosa che non è poi così piccolo come sembra…
Vivo nei pressi dell’oceano per la maggior parte dell’anno; una mattina camminavo lungo la spiaggia in Florida quando migliaia di piccoli pesci argentei vennero a buttarsi sul litorale. Saltavano da tutte le parti e annaspavano in cerca dell’acqua. Incominciai a gettarli nuovamente nell’oceano, che era diventato un po’ più calmo da quando le onde avevano portato a riva i pesci color argento. Mentre gettavo i pesci nell’acqua, un uomo che passava si mise a ridere dei miei sforzi: «Ma non vede che la su impresa è senza speranza? Lungo la riva ci sono migliaia di pesci, dunque i suoi sforzi non cambiareanno affatto la situazione». Mi chinai a raccogliere un altro pesce e – mentre lo gettavo in acqua – risposi: «I miei sforzi cambiano la situazione per questo pesce!». Ricordiamoci sempre che i nostri sforzi possono cambiare le situazioni, anche se ci appaiono minimali in confronto alla vastità del problema
.
Proseguiamo con la cura per l’acqua: non lasciamola scorrere per averla fresca (basta tenerne una bottiglia in frigo), ripariamo ogni piccola perdita, subito, non lasciamola scorrere inutilmente mentre ci laviamo i denti (e a proposito di lavarsi i denti: «Quando non c’è lo spazzolino…» non c’è Daygum Protex, ma un simpatico legnetto che vi mostro. Lo usano gli africani, l’ho comprato in uno dei negozi multi-etnici che ci sono a Torino. Ha un’azione meccanica e chimica. Sbianca i denti, non necessita di dentifricio, occupa pochissimo spazio, pesa niente, ideale per i viaggi brevi, come questo per me, oggi). Gli uomini, quando si sbarbano, possono tenere tre dita d’acqua nel lavandino tappato e sciacquare lì dentro il rasoio. Ricordiamo che l’acqua che usiamo è tutta potabile «Come, anche quella del water?», ebbene sì! Sembra un assurdo ma è così, 12 litri di acqua ogni volta che azioniamo lo sciacquone, circa 300 litri di acqua al giorno consumavamo (nel 1998). Mettiamoci in testa che consumare acqua significa impiegare energia, inquinare l’ambiente, peggiorare la qualità della vita. Immaginiamola: è appena sgorgata dalla sorgente, forse viene immediatamente imbottigliata, processo non privo di effetti indesiderati: consumo energetico, produzione di Pet, migliaia di camion in movimento sulle strade, inquinamento atmosferico, idrico e terrestre. Poi se si trasforma in un corso d’acqua arriva nel primo paese dove subisce l’immancabile immissione di cloro e la riscarica, previa una depurazione (abbiamo già parlato no?). Dopo il paese magari la nostra acqua, diventata fiume, lambisce zone industriali che la prelevano per i loro processi chimici o meccanici (l’acqua serve per tutto: da 50 a 100 l di acqua per fabbricare un chilo di carta, da 200 a 500 l di acqua per un kg di plastica…).
E noi? Nelle nostre case? 100 l per un bagno, 40 per una doccia, 170 l per un ciclo di lavaggio in lavatrice, 10 l al minuto per innaffiare il giardino con l’erogatore!! L’acqua si risparmia anche badando a non sprecare la luce, perciò utilizziamo la lavatrice solo a pieno carico e ricordiamoci di spegnere le luci inutili, non stiriamo gli asciugamani e tutto quello che avremo steso bene e non necessiterà di stiratura. Per risparmiare acqua è utile anche imparare a sporcare di meno: la carta del pane può essere utile in cucina per pulirsi le mani. togliere l’unto, asciugare il tavolo, far sgocciolare l’insalata. Vedrete quanti tovaglioli, asciugapiatti, strofinacci in meno da lavare! Utilizziamo un asciugamano solo per i capelli (si sporca meno di quelli che usiamo per il corpo) e quando possiamo evitiamo l’uso dell’accappatoio, preferendo piccoli asciugamani che si lavano meglio. E anche le lenzuola: possiamo cambiare solo quello di sotto e poi passare quello di sopra sotto (per un periodo minore); con questo giro non avremo mai due lenzuola matrimoniali da lavare e questo permetterà un risparmio di lavaggi in lavatrice. A proposito di lavatrice: personalmente uso un’alternativa al detersivo (parlo della «Washing ball»), ma se non vogliamo arrivare a questi estremi almeno non usiamo gli ammorbidenti che contengono tensioattivi che ricoprono i tessuti con una pellicola: i panni rimangono umidi più a lungo e la biancheria si sporca prima. Basta un po’ di aceto per rendere la biancheria più morbida. Ricordiamoci che versiamo, ognuno di noi, ogni anno, più di 10 kg di detersivo all’anno: Ricordiamocene quando in estate ci lamentiamo che il mare è troppo sporco e ci sono le alghe.
Sempre in tema di «Montagna dolce» occorre dire qualcosa anche sul riscaldamento. Francesco Pastorelli ha già parlato del risparmio energetico nelle case, con molti più dati di quelli che posso dare io, che parlo sempre di qualcosa di semplice, che possa farsi subito. Mi ha colpito molto la sua frase «Può bastare una candela per scaldare un locale» per averlo provato sulla pelle quando – dal 1996 al 2001 – ho vissuto in una borgata di mezza montagna, a Cumiana. La nostra era una vecchia casa, di pietra e legno (come diceva Francesca Landriani) in cui l’unica fonte di riscaldamento era una cucina economica (poutagé? Come si scrive?). Al piano superiore, dove c’erano le stanze da letto, d’inverno ci svegliavamo col ghiaccio sulle finestre. Lavavo i panni nel torrente, mungevamo le capre, facevamo il formaggio, coltivavamo un piccolo orto e… eravamo collegati alla rete, ma per illuminare, ogni volta che potevamo, usavamo candele e lampade a petrolio. Ed è vero: una candela può bastare, se non altro per la «sensazione» di calore (la temperatura non l’abbiamo mai misurata). Ricordiamoci che una coperta direttamente sul materasso (sotto il lenzuolo) è meglio di due-tre coperte sopra. Se abbiamo freddo di notte è sufficiente tenere al caldo la testa e la fronte (soprattutto) con uno scialle o un berretto (lo scialle è meglio perché si crea un’intercapedine) piuttosto che scaldare la camera da letto. Per il risveglio teniamo vicino al letto un maglione largo o una vestaglia e un cesto con tante belle calze di lana pesante da infilarci quando ci alziamo. È più importante scaldare il bagno, e poi, dove sta scritto che in casa si deve poter andare in giro seminudi?). Lavorando, magari al tavolino, o leggendo si sente freddo. Invece di alzare il termostato, mettiamoci una maglia in più, copriamo soprattutto i piedi, e, se il freddo non passa, facciamo il bucato, o la pasta, o una torta, il movimento ci riscalderà immediatamente, e dopo la cottura della torta lasciamo aperto il forno, oppure prepariamoci una tisana bollente, oppure – rimedio estremo – copriamoci e usciamo per una passeggiata e al rientro ci accorgeremo di quanto è calda casa nostra!
Nel mio libro (Semplicità volontaria, la cui nuova edizione uscirà a gennaio, per le edizioni L’età dell’Acquario-Lindau, di Torino) c’è un intero capitolo dedicato ai Perché no. Tutte quelle cose che credo dovremmo smettere di fare per risparmiare l’acqua, per non inquinare, per non uccidere gli animali, per salvaguardare il pianeta… non possiamo oggi parlarne perché il tempo è finito, ma vi rimando alla lettura, se vorrete, quando uscirà. Per quanto riguarda questo convegno ho già detto: personalmente ho smesso di sciare, e penso che non dovremmo più andare a sciare e soprattutto pretendere di sciare quando la neve non c’è (i danni dell’innevamento artificiale ormai li sanno anche i sassi), ma neanche andare in montagna con l’auto, ogni domenica, pretendendo parcheggi, comodità, riscaldamento, cibo inadatto, rifugi come alberghi e cinque stelle, materiali high-tech sempre più sofisticati per sciare, sciolina… lo sapete che basta un litro di olio solare sulla neve per avvelenare un milioni di litri di acqua?
Tra i «Perché no» c’è anche il viaggiare. La mia è una posizione estrema, lo riconosco, ma personalmente non intendo prendere un aereo per andare a vedere un luogo bellissimo che, per il fatto che ci sto andando in aereo, scomparirà. Se il riscaldamento globale è causato anche dalle emissioni di CO2, allora i viaggi in aereo sono responsabili dello scioglimento dei ghiacciai. Adesso poi siamo all’assurdo che facciamo un viaggio turistico per vedere la nuova isola al largo della Groenlandia, prodotta dallo scioglimento dei ghiacciai. Mi viene in mente la scena di Dead Man Walking, dove un gruppo di persone dietro un vetro ha assistito all’esecuzione capitale di un condannato. Non così estremo? Fate voi. Io non sono mai salita su un aereo e non credo che lo farò. Soprattutto da quando ho saputo che è stata fondata L’arca dei semi:

Un rifugio sotterraneo, remoto e inaccessibile per custodire tutto il patrimonio di sementi che la nostra specie ha sviluppato in diecimila anni, da quando abbandonò la vita da cacciatore, raccoglitore, addomesticò piante e animali e divenne stanziale. Tre milioni di varietà di semi, ciascuna in 500 esemplari, per un totale di un miliardo e mezzo di chicchi (…). Global seed vault, deposito dei semi del mondo: un edificio costruito dentro una montagna, refrigerato a meno 18° centigradi (…) Il terreno perennemente ghiacciato (permafrost) garantirà una temperatura di circa meno 4° anche se l’elettricità prodotta con il carbone della vicina miniera si dovesse interrompere. «Deve poter durare per sempre» (…) anche per far fronte all’ipotesi del peggiore dei futuri possibili: quello di una catastrofe che cancelli le riserve genetiche del cibo vegetale. Cataclismi innescati dal cambiamento climatico (…) una guerra nucleare. (…) L’importanza dell’Arca non va legata solo a improbabili scenari apocalittici (…) la salvaguardia della biodiversità (…) è una battaglia quotidiana e di pari livello.
Capito perché – anche – dobbiamo fare qualcosa affinché i ghiacciai non si sciolgano, ridurre le emissioni di CO2, risparmiare l’acqua, smettere di andare in aereo, smettere di pretendere di sciare senza neve, stare freschi d’estate e nudi in casa d’inverno? Anche per l’Arca dei semi dell’umanità.
Ma non solo quando è ghiaccio l’acqua custodisce preziose informazioni per il genere umano:

L’acqua ha memoria
Nel 1984 Jacques Benveniste coniò l’ormai celeberrima definizione della «memoria dell’acqua»: diluite una sostanza – diceva – e anche quando sarà scomparsa il magico liquido continuerà a produrre reazioni chimiche come se le molecole originarie fossero ancora presenti. Ora (10 maggio 2006, «La Stampa») l’attenzione si è spostata su Masaru Emoto: anche lui è convinto che sia possibile far assimilare all’acqua codici, strutture e informazioni (…) congela campioni di goccioline, mentre le espone a flussi di parole, pensieri e musiche, e le fotografa con un microscopio a spettro oscuro. (…) l’acqua pura mostra forme geometriche perfette e quella tossica è uno show di distorsioni mostruose, l’acqua sottoposta a una preghiera buddhista esibisce strutturre perfette da gioiello (…). Pronunciare «Grazie» genera un esagono di elegante razionalità. Gridare «Ti ucciderò!» ha come conseguenza un caos di bolle. (…) «L’acqua – annuncia Emoto – custodisce un messaggio molto importante per l’umanità: è lo specchio della nostra anima e della nostra mente».

Vi prego, ricordiamocelo la prossima volta che buttiamo nel water l’olio della frittura di pesce, e ricordiamoci i simpatici disegnini visti alle elementari sul «Ciclo dell’acqua», perché forse ce ne siamo dimenticati. L’acqua scende dal cielo, va nella terra, diventa torrente, fiume, mare, sale di nuovo in cielo sotto forma di vapore e nuvole e ricade sulla terra come pioggia! Quello che facciamo ci ritorna, e «là fuori» è anche «qui dentro». E se non per noi, ricordiamocelo almeno per i nostri figli e nipoti che non vedremo. A proposito di fare cose di cui non vedremo il risultato vi saluto con un brano che – come Iniziativa di Goethe che abbiamo letto poco fa – mi fa da guida nelle mie scelte e nella mia vita:

Il manifesto del contadino impazzito
Amate i guadagni facili, la scala mobile, gli aumenti, le ferie pagate.
Domandate sempre più prodotti già pronti.
Abbiate paura di conoscere i vostri vicini di casa e di morire…e avrete una finestra nel cervello.
Nemmeno il vostro futuro sarà più un mistero. La vostra mente sarà perforata in una scheda e chiusa in un cassettino.
Quando vorranno farvi comprare qualcosa vi chiameranno.
Quando vorranno farvi morire per i soldi ve lo faranno sapere.
Ma tu, amico, ogni giorno fai qualcosa che non possa entrare nel computer.
Ama Dio. Ama la terra, Lavora con senso di gratuità. Sfuggi all’IVA, alla bolla d’accompagnamento.
Disfati di tutte le cose inutili e sii libero. Ama qualcuno che non se lo merita.
Non ti fidare del governo, di nessun governo, nemmeno verde, e abbraccia tutti gli esseri viventi;
nel tuo rapporto con ciascuno di loro riponi la tua speranza politica.
Approva nella natura quello che non conosci e dai valore a questa ignoranza, perché ciò che l’uomo non ha scoperto non ha distrutto.
Fatti delle domande che non hanno risposte razionali.
Investi nel millennio, pianta sequoie. Afferma che il tuo raccolto principale è la foresta che non hai piantato e che lo scopo della tua vita non è raccogliere.
Dichiara che le foglie diventano fertilità dopo che si sono decomposte nella muffa; chiama questo «profitto». È una profezia che si avvera sempre.
Poni la tua fiducia nel 5 cm di humus che si formeranno sotto gli alberi ogni mille anni. (…)
Sorridi: il sorriso non entra nei calcolatori. (…)
Appena vedi che i generali e i politici riescono a prevedere i movimenti della tua mente, buttala via. Abbandonala
come fosse un segnale per indicare la falsa pista, la via che non hai preso.
Sii come la volpe che lascia molte più tracce del necessario, molte nelle direzioni sbagliate.
Pratica la risurrezione.
Wendell Berry, Il corpo e la terra