Seminari di preparazione al convegno annuale

Futuro della Nonviolenza: programma costruttivo

Il ?programma costruttivo? di Gandhi e il nostro

Intervento di Enrico Peyretti nel seminario del 21 giugno 2007)

(Gli appunti seguenti sono una riflessione attorno ad un tema del progettato convegno dell?8-9 dicembre 2007, ?La pace è nonviolenza?, in occasione del 25° anno del Centro Studi Domenico Sereno Regis, di Torino. Sullo stesso tema stanno lavorando altri collaboratori del Centro Studi ([email protected] ; http://www.cssr-pas.org). Una parte del testo che segue è tratta, con molte modifiche e ampliamenti, dalla relazione tenuta a Trento, nel convegno di Pax Christi, 30 dicembre 2005, pubblicata in La nonviolenza è in cammino, n. 1166, 5 gennaio 2006).

Nel seminario del 12 aprile (07 04 12 Nonviolenza passato presente futuro.doc) avevo proposto qualche riflessione su violenza e nonviolenza nella storia umana, nel passato recente, nella transizione attuale, nella necessaria prospettiva di una «nuova storia» (nelle parole di Gandhi e di Capitini).
Oggi, fatta 1) una premessa in tre brevi punti, vorrei vedere 2) il «programma costruttivo» di Gandhi, 3) tentarne una applicazione per analogia, davanti alle violenze odierne, in una nostra cultura politica costruttiva, 4) chiederci se e quanto è possibile oggi una simile politica della nonviolenza.

1 – Premessa
1-1 ? Programma costruttivo
La quarta delle regole dell?azione nonviolenta gandhiana è l?impegno costante nel programma costruttivo . La lotta nonviolenta non è solo per togliere un?ingiustizia, anzi non può fare questo, se non è contemporaneamente, e da subito, azione costruttiva della giustizia. Perciò Gandhi dice: «Se la disobbedienza civile non è accompagnata da un programma costruttivo, è un atto criminale e una dispersione di energie, (?) è soltanto una bravata ed è peggio che inutile» . Può essere necessario essere ?disobbedienti? alla legge e al comando ingiusto, ma non è sufficiente, anzi è soprattutto negativo senza un impegno costruttivo. Per questo motivo Giuliano Pontara sostiene che non è l?astensione dalla violenza ma lo sforzo costruttivo la più profonda essenza della nonviolenza gandhiana .

1-2 – La nonviolenza è più del pacifismo
La resistenza e opposizione alla violenza è molto di più del pacifismo, che si oppone solo alla guerra. La nonviolenza attiva e positiva è opposizione alle cause della guerra, che sono le violenze più profonde e micidiali della stessa guerra, cioè la violenza strutturale (nelle leggi, nelle economie) e soprattutto la violenza culturale (nelle idee, costumi, tradizioni, ritenute e consacrate come valori). Ovviamente, la guerra è il male più vistoso, e il suo ripudio ? della guerra e di tutto l?apparato e la strumentazione che la innescano – è l?obiettivo politico primario. Ma solo una cultura civile della nonviolenza radicale e positiva potrà far pervenire la civiltà umana alla liberazione dalla guerra. Non ci sarà una politica nonviolenta senza una grande crescita della cultura nonviolenta.

1-3 – La nonviolenza positiva è una rivoluzione o mutazione culturale
La nonviolenza non è solo, negativamente, l?astensione dalla violenza, ma è, positivamente, una rivoluzione o mutazione culturale che porti le coscienze personali, le società, le civiltà umane a gestire problemi e conflitti della convivenza emancipandosi dalla compulsione distruttiva, che è sempre anche autodistruttiva.
Per arrivare a questa maturazione non bastano l?indignazione morale, né l?esortazione generica delle buone volontà, né le morali tradizionali, scese a patti con la violenza, tanto meno leggi repressive, tutte cose utili o necessarie, ma occorre indicare punti concreti di mutamento e sviluppo alternativo nelle culture, nei comportamenti sociali, a partire da decisioni e scelte personali, in contrasto costruttivo con strutture e comportamenti vigenti, intrisi di violenza.

2 – Undici punti costruttivi
Gandhi propone il suo programma costruttivo, nell?India del suo tempo, in almeno undici punti , che compaiono già nel 1909 in Hind Swaraj.
1) riconciliazione tra i vari gruppi religiosi indiani, specialmente tra indù e musulmani. Questo è il punto per il quale, dopo oltre cinquant?anni di impegno continuo e tenace, Gandhi pagò con il sacrificio della vita.
2) abolizione della intoccabilità, come primo passo verso l?abolizione delle caste.
3) lotta contro l?uso delle bevande alcoliche e delle droghe.
4) filatura e lavorazione casalinga del cotone (khaddar o khadi, stoffa filata e tessuta a mano) non soltanto come boicottaggio dei tessuti inglesi, ma come strumento di sensibilizzazione e organizzazione politica, espressione della dignità e importanza del lavoro manuale, protesta contro l?industrialismo disumanizzante, valorizzazione del capitale umano, simbolo dell?indipendenza (l?arcolaio è ancora oggi lo stemma sulla bandiera indiana).
5) promozione della piccola industria di villaggio, come realizzazione di decentramento e autonomia dei 700.000 villaggi indiani.
6) nuovo metodo di educazione dei bambini alla nonviolenza e al rispetto di quanto di buono e duraturo c?è nella tradizione indiana, invece di sradicarli in nome della ?più progredita? civiltà occidentale.
7) educazione degli adulti.
8) parificazione dei due sessi, perché nella nonviolenza la donna ha lo stesso diritto dell?uomo di forgiare il proprio destino. Ricordiamo a questo proposito che Gandhi affermava il primato della donna nell?azione nonviolenta: «Se per forza si intende la forza morale, allora la donna è infinitamente più forte dell?uomo. (?) Se la nonviolenza è la legge della nostra esistenza, il futuro è delle donne» .
9) miglioramento sia fisico che psichico dell?individuo per condurlo a capire ed apprezzare la ?vita semplice?, o ?semplicità volontaria?, nell?alternanza di lavoro manuale e mentale per una più piena realizzazione di umanità.
10) propagazione della lingua nazionale.
11) promozione dell?uguaglianza economica, in base all?assunto che un sistema basato sulla nonviolenza è impossibile fin quando una società è divisa in ricchi e poveri, capitale e lavoro.

3 – Davanti alle violenze odierne, una nostra cultura politica costruttiva
Proviamo a immaginare e abbozzare un programma simile per noi, cercatori di nonviolenza, ripercorrendo dettagliatamente questi punti magistrali, confrontati e ripensati nella nostra situazione italiana, occidentale, odierna.
1) «Riconciliazione tra i vari gruppi religiosi indiani, specialmente tra indù e musulmani», per noi oggi può significare il macroecumenismo, cioè la costruzione di dialogo interreligioso e la collaborazione per la pace con le persone di tutte le religioni ormai presenti in numero significativo in Italia. Come ricorda da tempo Hans Küng, la pace tra le religioni è una condizione della pace tra le culture e le nazioni; la pace tra le religioni ha bisogno di conoscenza e dialogo tra le religioni; perché ci sia dialogo tra le religioni occorre ricercare i fondamenti delle religioni, nelle loro differenze e convergenze profonde. Iniziative di dialogo interreligioso crescono in Italia, in particolare è importante per la pace la giornata di dialogo cristiano-islamico alla fine del ramadan, che si svolge da quattro anni, promossa dal basso, inizialmente da Brunetto Salvarani, non ancora ufficializzata nella chiesa italiana, avvenuta in questi anni in un centinaio di città.
2) Gandhi voleva in India l?«abolizione della intoccabilità, come primo passo verso l?abolizione delle caste». Per noi, chiaramente, ciò vuol dire atteggiamenti personali e collettivi di amicizia, ospitalità, frequentazione, collaborazione sociale, con gli immigrati, fatti oggetto di sospetti e discriminazioni che arrivano talvolta al razzismo sordo, non solo psicologico, impaurito, ma anche esplicito, ideologico, amministrativo, politico; quindi vuol dire per noi anche iniziative politiche alternative al trattamento dell?immigrato come utile forza-lavoro assai più che come persona con bisogni e diritti; e vuol dire saper pensare e volere giustizia sulla grave questione dei Centro di Permanenza Temporanea, CPT.
3) «Lotta contro l?uso delle bevande alcoliche e delle droghe», sarà per noi azione preventiva, educativa, testimoniale, sociale che aiuti chi è privo di motivi per vivere e per agire, e quindi cade nella dipendenza da vari tipi di sicurezza fittizia ed eccitazione artificiale per sentirsi vivo: le droghe, l?alcol, ma anche la soggezione alle mode rassicuranti e al conformismo dei consumi reso obbligatorio dalla pubblicità, l?appiattimento sul pensiero unico, l?inerzia che fa rassegnare alle ingiustizie invece di costruire azioni e forme sociali giuste. L?impegno nella costruzione della pace è un compito storico, lungo più generazioni, che riempie di significato la nostra vita personale e politica. Ogni volta che possiamo trasmettere questo desiderio attivo salviamo una vita dal vuoto e dall?insignificanza.
4) e 5) Quando Gandhi chiedeva agli indiani la «filatura e lavorazione casalinga del cotone, non solo come boicottaggio dei tessuti inglesi, ma come strumento di sensibilizzazione e organizzazione politica, come espressione della dignità e importanza del lavoro manuale, come protesta contro l?industrialismo disumanizzante, come valorizzazione del capitale umano e simbolo dell?indipendenza», e sollecitava la «promozione della piccola industria di villaggio», egli avviava una vera azione economica e politica costruttiva che per noi può voler dire imparare a fare da sé molte cose, per es. fare il pane o lo yogurt in casa, scegliere acquisti locali o equo-solidali, liberi dal potere delle multinazionali sfruttatrici del lavoro dei poveri e saccheggiatrici delle loro terre; in sostanza, vuol dire informarci e impegnarci nelle varie forme di economia alternativa, che, senza violenza, resiste e fa contrasto allo sfruttamento di lavoratori agricoli e coltivatori poveri; toglie potere alle potenze economiche responsabili della maggior parte della violenza presente oggi nel mondo, che è la violenza economica, più vasta e profonda della stessa violenza bellica; si prende cura della terra scegliendo le tecniche ecologiche; o almeno tende a tutto questo.
6) e 7) Per Gandhi era importante in India un «nuovo metodo di educazione dei bambini ? ma anche degli adulti – alla nonviolenza e al rispetto di quanto di buono e duraturo c?è nella tradizione indiana, invece di sradicarli in nome della ?più progredita? civiltà occidentale». Era questa l?indipendenza culturale e spirituale necessaria alla giusta indipendenza politica nazionale dell?India. Anche noi siamo soggetti ad un colonialismo e imperialismo che non ha quelle stesse forme, ma influisce pesantemente sugli spiriti mediante settori dell?industria dello spettacolo, che puntano spesso sulla droga della violenza armata, psicologica o sessuale; un colonialismo culturale che compie operazioni sistematiche sull?immaginario di massa, mediante penetrazione imperiosa e suadente dei miti di forza, efficienza e successo spregiudicato, di ammirazione e culto dei ?vincenti?, di insensibilità ai diritti di tutti, fino al disprezzo degli ultimi (tanti videogiochi di guerra e violenza!). Sono quelle «tendenze naziste» che Giuliano Pontara individua nel suo libro L?Antibarbarie (Ed. Gruppo Abele), per le quali propone gli antidoti precisi costruiti dal movimento gandhiano. Un punto costruttivo di pace e nonviolenza oggi è realizzare la comunicazione tra le culture senza nessuna pretesa di superiorità dell?una o dell?altra, tanto meno se è per capacità tecniche più che per crescita umana e spirituale; un punto costruttivo è educarsi, e dunque essere fattori di educazione sociale, all?uguaglianza, alla libertà di spirito, alla responsabilità, a ciò che di valido viene da tradizioni antiche che non sono da disprezzare come se il nuovo fosse sempre il meglio; è dedicarsi anche a produzione artistica e di spettacolo ispirata a umanità, nelle tante forme culturali in cui si esprime lo spirito umano nelle varie civiltà e nella storia.
10) «Propagazione della lingua nazionale» era il decimo punto del programma costruttivo di Gandhi. Oggi vuol dire oggi accettare le lingue che di fatto, come l?inglese, mediano una comunicazione più vasta, ma conservare le differenti lingue, cioè le culture, le differenti visioni tradizioni ed esperienze di vita, senza che lingua e mentalità dei popoli dominanti dominino le menti e plasmino una mentalità appiattita e conforme. Non è secondario questo punto per la dignità delle culture e la ricca diversità umana, che è un bene e un valore quando è incontro e non dominio o scontro.
8) La «parificazione dei due sessi, perché nella nonviolenza la donna ha lo stesso diritto dell?uomo di forgiare il proprio destino» era un altro punto positivo del programma nonviolento gandhiano. Oggi il movimento femminile e femminista ha fatto strada, e tante donne sono attive non solo nelle rivendicazioni dei loro diritti e dignità, ma sono in prima fila, nella ricerca, nell?educazione e nell?azione dei nostri movimenti per la pace e nonviolenza. Nel mondo, nelle culture, religioni, tradizioni, ma anche nelle chiese e nelle religioni, manca ancora molto al riconoscimento della parità di valore personale e di ruolo sociale tra donne e uomini; le posizioni di potere pubblico e la pratica di violenza nelle sue varie forme, sono assai più degli uomini che delle donne. Quel che forse è peggio, ci sono rivendicazioni di parità chiaramente distorte, come la presenza di donne nei luoghi della violenza istituzionale, come gli eserciti e la guerra, dove invece deve ridursi fino a scomparire ogni presenza umana, anche maschile. Senza mitizzare una natura umana diversa nelle donne, come se fosse immune dalla violenza, specie quando le donne arrivano a posizioni di potere, certamente il necessario riequilibrio dei due volti dell?umanità nella gestione delle vicende pubbliche come dei rapporti personali potrà essere un contributo ad una umanità meno violenta e più giusta. Nell?ambiente dei cercatori di pace questo avviene più naturalmente e tranquillamente che nella società competitiva e individualista, ma è nostro impegno costruttivo fecondare tutta la società in questo senso.
9) e 11) «Imparare a capire ed apprezzare la ?vita semplice?, o ?semplicità volontaria?, nell?alternanza di lavoro manuale e mentale per una più piena realizzazione di umanità. Promozione dell?uguaglianza economica, in base all?assunto che un sistema basato sulla nonviolenza è impossibile fin quando una società è divisa in ricchi e poveri, capitale e lavoro». Questi punti costruttivi di Gandhi possono diventare, per la nostra ricerca di nonviolenza, uno stile di sobrietà, alternativo alla quantità di possessi, di oggetti, di comodità sofisticate ed eccessive, non giustificabili con l?efficienza del lavoro e delle comunicazioni. Ma questo non solo per una igiene di vita personale, non dominata dalle cose, ma soprattutto perché la troppa ricchezza degli uni è miseria degli altri, ed è ? come diceva padre Turoldo ? «vergogna del Nord e disperazione del Sud del mondo». Dunque, dobbiamo riconoscere con Gandhi, che «la nonviolenza è impossibile fin quando una società è divisa in ricchi e poveri»: le grandi disuguaglianze offensive discriminatrici e separatrici, che selezionano gli esseri umani in sommersi e salvati, in esuberi e necessari, sono grandi e gravi violenze, sono una vera guerra all?umanità anche se nessuna arma sparasse e nessun bombardiere bombardasse. Dunque, la politica che vogliamo deve privilegiare la giustizia resa ai deboli e non il mercato, quando è ? come larghissimamente è oggi – speculazione finanziaria feroce, e non servizio ai bisogni, e allora diventa il campo dei forti, la cui libertà di dominio, sotto nome di libertà economica, è pura violenza. La politica costruttiva che dobbiamo fare non accetta la libertà falsa e oppressiva delle ?libere volpi fra libere galline?, ma vuole porre museruole alle ?volpi? voraci e violente e sostenere coscienza e forza sociale delle deboli ?galline?. In un mondo reso umano tutti devono poter mangiare, ma nessuno deve poter mangiare gli altri, come sciaguratamente ma regolarmente oggi avviene nell?umanità, molto più che tra gli altri animali.

4 – È possibile oggi una simile politica della nonviolenza?
È possibile che una simile politica abbia il consenso popolare necessario in democrazia? Nel sistema democratico il passaggio all?attuazione legittima delle idee giuste non può avvenire senza l?adesione di un numero maggioritario di cittadini. In democrazia, la qualità delle proposte ha bisogno del supplemento della quantità dei voti, anche quando sono proposte necessarie alla sopravvivenza vitale (come è oggi smettere di devastare l?ambiente). È certamente una buona regola, quella per cui la qualità da sola non basta ? e infatti chi la giudicherebbe? È una buona regola affinché nessuna minoranza possa presumere di avere da se stessa il diritto di decidere per tutti in base alla presunzione di avere le proposte migliori di tutte.
Ma oggi la politica nonviolenta trova consensi sufficienti? Si osserva facilmente che classi sociali fino a ieri vittime di violenze economiche e di discriminazioni, grazie a parziali inebrianti miglioramenti delle condizioni materiali di vita, sono cadute vittime di un?altra più sottile violenza mentale: quella della vita come competizione individuale, come gara al sorpasso; quella della realizzazione umana riposta nella ricchezza, con spregiudicatezza riguardo ai mezzi. Dissolta o diminuita la solidarietà nel bisogno, non è maturata una solidarietà per la giusta distribuzione, per la chiarezza e giustizia delle regole, per l?attenzione agli sfavoriti e ai deboli. I poveri di ieri, che lottavano uniti e determinati, oggi, diventati meno poveri ma non più liberi, consapevoli e partecipi, votano per le destre, soggiacciono al mito impersonato da ricchi personaggi, di minuscole qualità umane e civili, come è in Italia Berlusconi, che si propongono come modelli di successo privato e dunque di capacità di governo. Così, le masse di condizione medio-bassa, e non solo i ricchi, sono in maggioranza non solo tolleranti ma attivi nella violenza sull?ambiente, indisponibili a far decrescere consumi e guadagni, nella violenza dell?arrivismo spregiudicato, nella concezione violenta della società non come convivenza di soci ma come gara tra rivali. I poveri di ieri, per inseguire i ricchi, fanno la guerra ai nuovi poveri, come gli immigrati e i meno garantiti.
Dunque, la nonviolenza è lontanissima? Possiamo temerlo, ma non lo sappiamo con certezza. Non rinunciamo a ciò che sentiamo giusto e necessario. Non desistiamo dal fare opera di persuasione attorno a noi. Ogni spinta genera una controspinta. Cresce in molti la nausea per la società dell?egoismo, crescono preoccupazione e paura delle disastrose conseguenze psicologiche materiali e ambientali, sempre più evidenti a chi ha un minimo di attenzione responsabile. Cresce in chi lotta contro i mali del sistema – nonostante marginali frange violente, largamente utilizzate dal sistema stesso – l?attenzione a non lasciarsi attrarre e confondere con la violenza del sistema, e la ricerca, almeno nelle intenzioni, di metodi nonviolenti. Il mito della violenza risolutiva per stabilire la giustizia è tramontato.
Cresce la violenza, disposta anche all?olocausto atomico, e cresce la possibilità che la nonviolenza positiva sia compresa e scelta politicamente. La tensione tra le due forme di vita resterà, ma potrà diminuire la guerra interumana e crescere la pace giusta, se la nonviolenza saprà indicare e praticare forme positive di esperienze concrete, in analogia con quelle promosse da Gandhi nella sua situazione indiana.
A tutt?oggi non vediamo proposte politiche che scelgano la nonviolenza in modo strategico, non tattico o episodico (come avvenne in una parte della dirigenza del partito della Rifondazione Comunista nel 2003-2004), ma dipenderà dalla continuità, tenacia e serietà del nostro lavoro di cultura e di educazione, se domani uno sbocco politico-pratico potrà comparire. L?animo umano non è mai fisso. La creatività storica non è congelata per sempre. I movimenti dal basso, riumanizzanti, hanno dei cicli di ripresa, all?incirca ventennali, quando si verificano le condizioni opportune. Questa non è una legge certa, ma si può agire come se lo fosse, azzardando la speranza di una ventata positiva nei prossimi anni, nonostante tutto.

Enrico Peyretti, 21 giugno 2007

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