Il dramma dei giovani? Le emozioni simulate. Riflessioni su violenza e video on-line

Il dramma dei giovani? Le emozioni simulate. Riflessioni su violenza e video on-line

di Franco Beradi Bifo – Liberazione, 24/11/2006

Una sera dell?estate scorsa ero seduto sulla spiaggia quando la mia attenzione fu catturata da una giovane coppia occupata a farsi delle tenerezze a pochi metri da me. Cercando di non apparire troppo indiscreto misi gli occhiali per vedere meglio perché, nella penombra crepuscolare, c?era qualcosa che mi pareva strano nel comportamento di quei due, qualcosa di innaturale, di rigido. Quando riuscii a focalizzare mi accorsi che i due si baciavano e si abbracciavano senza guardarsi perché entrambi volgevano lo sguardo verso l?occhio del video-cellulare che la ragazza reggeva con un braccio. L?episodio mi spinse a riflettere su quel che sta accadendo nella percezione stessa dell?erotismo, nella percezione del proprio corpo nello spazio, e nel rapporto tra concezione ed esecuzione dell?azione.

Cambiamo argomento. Qualche giorno fa, in risposta all?ondata di sdegno mediatico che ha seguito la scoperta del video girato in un?ala scolastica nel quale un gruppo di ragazzi aggredisce e dileggia un compagno incapace di difendersi e di reagire, il responsabile scolastico, senza pretendere di sminuire la gravità dell?episodio, ha detto che i ragazzi non erano pienamente consapevoli di quello che stavano facendo, perché avevano vissuto la loro azione come una simulazione.

Io credo che questa considerazione sia fondata, e penso che invece di gridare allo scandalo per una registrazione video moderatamente ripugnante, ma molto meno ripugnante di altre centomila che circolano nello spazio virtuale, faremmo bene a riflettere sul modo in cui la virtualizzazione ha modificato e sta modificando la percezione stessa dell?agire.

Stiamo parlando di una nuova generazione che ha imparato più parole da una macchina che dalla madre, e che ha costruito la sua percezione del vissuto entro condizioni esperienziali largamente virtualizzate. Qualche anno fa i giornali si sono occupati di Tamagotchi, il pulcino elettronico lanciato da un?azienda giapponese come giocattolo capace di simulare la vita e il bisogno di affetto. Molti psicologi misero in rilievo la pericolosità di uno stimolo di questo genere, perché, si disse, il bisogno di affettività del bambino rischia di trovare risposte falsate che funzionano come vere e proprie trappole. Il Tamagotchi necessitava di continue cure e di affettività continua, e poteva morire (spegnersi) se non accudito debitamente. L?effetto che gli psicologi temevano era quello di confondere in maniera definitiva i limiti tra il vivente e il simulato, con il duplice catastrofico risultato di sviluppare un?identificazione con l?oggetto virtuale e di attenuare la sensibilità empatica nei confronti degli esseri viventi. Noi cominciamo oggi a fare i conti con una generazione che sta diventando adulta senza avere profondamente assimilato le condizioni dell?empatia. L?attenuazione della sensibilità empatica è forse la peggiore delle catastrofi contemporanee. Molto peggiore del global warming e della proliferazione nucleare, per intenderci, perché l?attenuazione dell?empatia distrugge la capacità intellettuale ed emozionale di percepire la specificità dell?umano, e quindi distrugge la stessa possibilità di proteggere quel che di umano resiste sul pianeta terra.

Io credo che sia vero quel che dice il responsabile scolastico dello Steiner torinese: i ragazzi non erano perfettamente consci di compiere un gesto reale di umiliazione e di violenza psichica.

Ma questo non è rassicurante, al contrario. Significa che abbiamo ormai a che fare con una generazione di esseri umani per i quali sta svanendo la distinzione tra esperienza vissuta e simulazione. E quindi la violenza che dilaga dalla televisione ai videogames è parte integrante e insostituibile della vita quotidiana.

Ricordate le immagini che provenivano da Abu Ghraib: corpi nudi ammucchiati, un giovane nudo trascinato da una donna con una cinghia, il sorrisone e l?allegro saluto agli amici di una ragazza che si china sul cadavere di un uomo torturato, e le orripilanti scene videoregistrate degli sgozzamenti. La mia convinzione è che la tortura è alla portata di mano di tutti, da quando tutti possono avere un videocellulare con cui registrarsi e con cui inviare la propria immagine agli amici e ai parenti.

Non è forse un gioco? E il corpo altrui non è forse, come il Tamagotchi, un congegno per il quale proviamo soltanto emozioni simulate, perché i circuiti dell?empatia sono bruciati?

La paralisi dell?empatia è al centro di questa mutazione. Quel che accade dobbiamo collegarlo alla profondità del mutamento della percezione del corpo dell?altro. La pornografia e la tortura sembrano avere poco in comune. Eppure li abbiamo visti insieme, negli ultimi tempi. Nella tortura dei prigionieri di Abu Ghraib abbiamo visto in azione un?immaginazione pornografica, e nell?immaginario pornografico sadomaso la metafora della tortura apre varchi a un effetto di desensibilizzazione.

La diffusione mediatica della tortura e del porno si collocano nel vuoto generato dall?atrofia dell?emozionalità. L?incapacità di provare piacere ha la sua controparte nell?incapacità di percepire l?orrore come orrore.

Alcune sere fa un telegiornale, tornando sull?argomento della violenza videoregistrata, ha detto che in Internet si trovano molti filmati di questo genere: e ha citato come esempio un altro caso di violenza simile a quello torinese, un filmato che riproduce scene di sesso di gruppo. Non voglio infierire, ma chi ha scritto il testo di quel telegiornale, chi ha equiparato la registrazione di un episodio di sesso di gruppo con scene di violenza simbolica o fisica deve essere perdonato perché non sa quello che fa. Un?equiparazione di questo genere contribuisce a confermare l?idea che la violenza è parte integrante di tutto ciò che vi è di piacevole nella vita.